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Le vie per una riforma della Costituzione, compreso il Titolo V. Scrive Tivelli

L’idea avanzata da Tivelli è quella di costituire un’assemblea per la “revisione costituzionale”, composta da 100 personalità con predefiniti ed appropriati requisiti per le candidature con l’incarico di formulare entro un anno una proposta complessiva per la revisione della seconda parte della costituzione

“Lo strumento principe per una riforma della Costituzione è istituire una assemblea costituente” così nei giorni scorsi il Quotidiano Nazionale ha riportato la posizione di Sabino Cassese. Visto che io, ormai, tendo ad ispirarmi solo al pensiero dei “grandi vecchi” e “grandi maestri”, oltre che al senso della memoria storica, se lo afferma Sabino Cassese, significa che si tratta probabilmente di un cammino da seguire. In questo Paese però da tempo si è smarrito e va smarrendo il senso della memoria storica (cosa che certo non vale per il professor Cassese che è anche un grande storico) e forse vale la pena offrire un piccolo inquadramento storico della questione. Grazie al “presentismo” dominante sembra che qui ognuno sia il primo o l’unico ad assumere una posizione. Ricordo fra l’altro che nel corso della scorsa legislatura, un bravo giovane deputato e vicepresidente della Camera, Simone Baldelli, aveva presentato una proposta di questo genere. Ora mi sembra che, tra gli altri, la sostenga questa proposta, la Fondazione Einaudi. Ma varie altre iniziative analoghe assunte da altri soggetti in precedenza, si potrebbero citare.
Cercando, ad esempio, di recuperare la mia memoria storica, ricordo benissimo che verso la fine del 1995, quando lavoravo a supporto del presidente del Consiglio di allora, Lamberto Dini, insieme all’indimenticabile professor Guglielmo Negri (che in quel Governo aveva la delega dei rapporti con il Parlamento) avevamo predisposto un testo normativo per l’istituzione di quella che definivamo una “Assemblea per la revisione costituzionale”. Più o meno sostanzialmente la stessa idea che ho riproposto già in più occasioni nei mesi scorsi da queste colonne.
Ciò che rattrista è pensare che già nel ’95 i tempi erano ampiamente maturi. In quella occasione il presidente Dini, visto che quel governo aveva una sorta di incarico predefinito, con quattro punti ed obiettivi assegnati dal Presidente della Repubblica, non ritenne opportuno assumere come governo quella iniziativa legislativa. Ma i tempi erano già così maturi che guarda caso caduto il governo Dini fu conferito l’incarico di governo ad Antonio Maccanico, soprattutto con la funzione di procedere anche al possibile mutamento della forma di governo. Forse Gianfranco Fini e Pierferdinando Casini, che come responsabili dei rispettivi partiti, che nel corso delle trattative in qualche modo si opposero, ebbero successivamente a riflettere su quella loro scelta. Poiché la memoria storica non mi è mai mancata e non mi manca (non a caso con una serie vasta di personalità abbiamo fondato l’Academy Spadolini proprio al fine di contribuire man mano a superare la metastasi del “presentismo”), non solo ho ben presente sviluppi ed errori dell’evoluzione del nostro sistema politico e istituzionale, ma ritengo ancora (oggi più di ieri) di piena attualità tale proposta. Sempre, invece, che non si voglia scegliere la strada di piccole e medie riforme istituzionali, come ad esempio aveva fatto Giovanni Spadolini con il suo governo nel 1981, presentando la proposta di un “Decalogo istituzionale”: un punto su cui stiamo riflettendo insieme agli ottimi costituzionalisti, dell’Academy Spadolini. Ribadisco comunque, in sintesi, la proposta di una “Assemblea costituente per la revisione costituzionale” visto che i lettori possono trovare nei miei precedenti articoli da queste colonne una più ampia presentazione: elezione con sistema proporzionale di una “Assemblea per la revisione costituzionale”, composta da 100 personalità con predefiniti ed appropriati requisiti per le candidature con l’incarico di formulare entro un anno una proposta complessiva per la revisione della seconda parte della costituzione. Detto per inciso, se propria si volesse divenire a qualche forma di elezione diretta dell’esecutivo personalmente credo che sarebbe preferibile, la soluzione simile a quella del “sindaco d’Italia”, col mantenimento di una figura imparziale di Presidente della Repubblica. È di questi giorni un sondaggio condotto da Demos, per Repubblica, secondo il quale nel febbraio 2023, la fiducia verso il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ammonta al 66%. Troppe volte pure io, anche in questi ultimi mesi, mi sono chiesto cosa sarebbe successo e succederebbe se non permanesse nel nostro ordinamento costituzionale una figura di questo tipo, oggi rappresentata al meglio dal presidente Mattarella.
Ma c’è un altro aspetto che a questo punto deve essere preso in seria considerazione, e che non so chi altro stia prendendo in considerazione. È in corso il procedimento per giungere alla cosiddetta “autonomia differenziata”. Avviata in modo troppo celere (forse serviva una bandierina elettorale in funzione delle ultime elezioni regionali), e per certi versi molto improprio, mi sembra che il suo risultato potrebbe essere che la mela, già per certi versi troppo spaccata in due, quella del Nord e del Centro-Sud), dal tavolo della cucina cadrebbe fino al pavimento, con effetti drammatici per i cittadini specie per quelli delle regioni meridionali. Ma come è noto l’autonomia differenziata nasce da quella riforma ben poco meditata e che tanto ha mostrato sin qui la corda (grande contenzioso Stato-Regioni, aggravamento delle disparità territoriale, ecc…), del Titolo V della Costituzione, introdotta dal centrosinistra nel 2000. Ebbene, mi sembrerebbe proprio il caso di assegnare alla nuova “Assemblea per la revisione costituzionale” espressamente anche il compito di riformare finalmente quel Titolo V. Per non tediare troppo i lettori c’è tra le altre una ragione fondamentale che induce, (ove non si voglia seguire la via delle piccole e medie riforme istituzionali) ad optare per la soluzione di questo tipo di assemblea, invece di ricorrere al procedimento di revisione costituzionale previsto dall’articolo 138. In questo Parlamento, fatto sostanzialmente di nominati dai “capi” ( perché capi o cape sono oggi i leader dei partiti) ci sono competenze adeguate per una appropriata modifica di queste rilevanti parti della Costituzione? Ci sono competenze adeguate per ricorrere eventualmente all’ennesima commissione bicamerale? Visto che hanno fallito pure le precedenti commissioni bicamerali di riforma della Costituzione, pur in presenza di una qualità media degli eletti ben più elevata. Certo, non è che si tratta di espropriare le due Camere. Infatti all’Assemblea andrebbero attribuiti solo “poteri redigenti”, il che significa che poi le due Camere dovrebbero approvare, articolo per articolo, il testo emerso a conclusione dei lavori dell’assemblea, senza emendamenti. Non è che tra gli eletti della nuova Assemblea potremmo trovare dei Costantino Mortati, dei Giovanni Conti o dei Piero Calamandrei, ma non c’è dubbio che in Italia esistono almeno molte centinaia di personalità competenti in materia istituzionale o costituzionale, parte delle quali candidabili, con ben più delle competenze che (con tutto il rispetto) si possono trovare in questo Parlamento.
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