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Salvare il Libano è ancora possibile? La strada stretta di Civ Catt

L’articolo non vuole scendere nelle recriminazioni con questo o quello, visto che quasi nessuno si può salvare, ma cerca di indicare come uscire dalla crisi. E questo è il punto forte, rilevante: guardare avanti, non indietro. Riccardo Cristiano legge l’articolo di padre Gabriel Khairallah pubblicato nell’ultimo numero di Civiltà Cattolica in edicola sabato

Quando una testata cattolica scrive di “Libano in crisi” è bene prestare attenzione. Quando a scegliere questo titolo è “La Civiltà Cattolica” – le cui bozze vengono lette in anticipo dalla Segreteria di Stato del Vaticano – allora vuol dire che l’attenzione è d’obbligo. Ancora di più se l’articolo in questione, firmato da padre Gabriel Khairallah e pubblicato sul numero che sarà in distribuzione da sabato, comincia così: “Dal 2019 lo Stato libanese si sta erodendo giorno per giorno, e questo fenomeno continua a estendersi. Nel mentre, la crisi finanziaria che il Paese sta attraversando è considerata dalla Banca Mondiale come una delle peggiori al mondo dal 1850 ad oggi”. La crisi economica è tale da mettere in discussione la tenuta stessa dello Stato e quanto accaduto in questi giorni, successivi alla stesura dell’articolo, va raccontato proprio per capirne il contesto, in continua evoluzione.

È successo infatti che l’intramontabile presidente della Camera libanese ha incontrato il primo ministro  – in carica per gli affari correnti – e gli ha proposto di rinviare di un mese l’entrata in vigore dell’ora legale. Stava infatti cominciando il Ramadan, le tavole sono quasi ovunque vuote, come costringere i libanesi musulmani a prolungare di un’ora il loro digiuno prima che arrivi il tramonto? Si potrà osservare che lo scrupolo poteva coglierli prima di ridurre sul lastrico i libanesi con condotte scellerate. Ma tant’è. Nonostante la compagnia di bandiera abbia fatto presente che i voli erano già stati predisposti con il nuovo orario, si è deciso di procedere, anche perché – assai stranamente- il video del colloquio riservato nello studio del presidente della Camera è stato divulgato sui social. Un modo per ingraziarsi gli affamati? A quel punto però è insorto il patriarca maronita: si prende una decisione del genere senza consultarci? Come se il governo debba sentire i capi delle comunità di fede anche per banali atti amministrativi. Ma intanto la miccia di una crisi confessionale era stata irresponsabilmente accesa e occorreva spegnerla. Ma come? E soprattutto da parte di chi? Il capo del governo a quel punto ha deciso di far saltare la stessa riunione del governo. Poi tutto è rientrato, dopo ore a cavallo tra il dramma e la farsa. Adesso di legale in Libano c’è almeno l’ora, come legalmente stabilito in precedenza, determinando per altro un cospicuo risparmio per lo Stato.

Tutto questo accade in un Paese dove l’80% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, le banche, le scuole e la sanità, i tre fiori all’occhiello del Libano, si stanno sfarinando. Più volte i malati in dialisi hanno rischiato di non poter essere più assistiti, i prezzi in lire libanesi sono con talmente tanti zeri che si è pensato di scriverli in dollari (gli stipendi però non aumentano altrettanto, ma molto meno). Come si è potuti giungere sin qui? Riprendiamo l’articolo che sviluppa due tracce: l’analisi delle cause e alcuni suggerimenti per uscirne. Il primo capitolo non può che partire da una presentazione del “sistema confessionale” libanese, che attribuisce dalla nascita la Presidenza della Repubblica ai maroniti, quella del governo ai sunniti e quella del Parlamento monocamerale agli sciiti. Analogamente, per consuetudine, si è proceduto per altri rilevantissimi incarichi.

È evidente quanto chiarisce l’autore: “In condizioni del genere, il leader politico rischia di diventare un leader confessionale”. Perché, come accenna padre Khairallah, l’intesa raggiunta alla fine della guerra civile, nel 1990, e che prevedeva il superamento del confessionalismo con l’opzione di passare a un bicameralismo che accanto alla Camera ancora comunitaria e paritaria tra cristiani e musulmani per garantire tutti consentiva dall’altro un sistema proporzionale e partitico (dove il voto segue i programmi e quindi prescinde dalla propria appartenenza confessionale) è stata ignorata, per gli interessi dell’occupante siriano. Se questo l’articolo lo accenna solo, fotografa però alla perfezione il risultato conseguito rimanendo in un  pieno confessionalismo: “È un modello strutturale, che si estende a tutti i livelli della società, fino a penetrare nella vita quotidiana di ogni individuo. Ciascuna confessione religiosa ha le proprie scuole, le proprie università, la propria stampa, i propri media, le proprie organizzazioni di beneficenza, i propri club sportivi, movimenti scout, ospedali, cliniche e, naturalmente, partiti politici e milizie. Finché permane un equilibrio tra le confessioni, la vita del Paese funziona, ma bastano piccole tensioni o semplici divergenze, come spesso accade in politica, perché i meccanismi istituzionali si blocchino, portando a una paralisi della vita socio-economica”.

Questo crea anche un disastro aggiuntivo: il nepotismo. I partiti, a mio avviso, assomigliano a clan, aggregazione di famiglia: il problema infatti non è la ripartizione delle tre supreme magistrature repubblicane: per Civiltà Cattolica“i problemi sorgono quando il comunitarismo viene trasformato in clientelismo, che per di più agisce all’interno di uno Stato di diritto reso fragile da anni di guerra e occupazione siriana. L’esito che si teme è la delegittimazione dell’autorità pubblica e il pervadere della corruzione”. Una corruzione fuori controllo e un sistema bancario che non funziona hanno portato anche il debito fuori controllo: oltre 100 miliardi di dollari. Qui arriva la descrizione di un disastro impensabile agli umani, soprattutto per un Paese che era sviluppato. “In Libano è emersa una nuova classe sociale, quella dei «nuovi poveri», ossia i membri della classe media che hanno perso il loro potere d’acquisto e hanno visto sparire i propri risparmi e le riserve monetarie collocate nelle banche in seguito al deprezzamento della moneta libanese. Il fatto che le banche limitino le quantità di denaro da prelevare impoverisce ulteriormente questa classe e rende molte famiglie dipendenti dagli aiuti di associazioni o Ong caritatevoli, o da quelli della diaspora libanese all’estero. La crisi del Covid-19 e l’esplosione al porto di Beirut avvenuta il 4 agosto 2020 hanno ampiamente contribuito ad accrescere la povertà nel Paese, soprattutto dopo periodi di confinamento in cui l’economia è rimasta completamente ferma”. Sono spariti i sussidi pubblici, la corrente elettrica non c’è, o se c’è è per generatori privati e costosissimi, le medicine sono introvabili. E’ in questo contesto che la bufera dell’ora legale trova un senso.

Quando il Libano ha deciso di dichiarare default, il governo in carica decise di sfidare le istituzioni internazionali e a mio avviso così ha aperto il vaso di Pandora. Ma l’articolo non vuole scendere nelle recriminazioni con questo o quello, visto che quasi nessuno si può salvare, ma cerca di indicare come uscire dalla crisi. E questo è il punto forte, rilevante: guardare avanti, non indietro.

E per guardare avanti padre Khairallah coglie il punto: “Nel Libano sono presenti 18 diverse comunità religiose. In una lettera del 1989 ai vescovi libanesi, san Giovanni Paolo II ha definito il Libano «un messaggio di libertà e un esempio di pluralismo sia per l’Oriente che per l’Occidente». Ora l’alterità e le differenze sono condizioni sine qua non per l’esistenza della libertà e del pluralismo. Purtroppo, spesso si fanno risaltare le somiglianze tra le comunità religiose, mentre le differenze vengono relegate in secondo piano fino a diventare un argomento tabù, per paura di creare scontento e di minare il fragilissimo «vivere insieme» del- le religioni. Come possiamo avviare un vero dialogo tra le varie componenti della popolazione libanese se le differenze non vengono accettate o vengono occultate? La sfida per il popolo libanese è quella di fare dell’alterità e delle differenze una condizione favorevole, che arricchisca tutti e li faccia uscire dai loro ambienti confortevoli per un vero incontro con gli altri. Una democrazia non è praticabile e nemmeno possibile senza questo sguardo al di fuori di sé e senza un vero dialogo all’interno della popolazione”.

L’idea successiva, che la sfida di oggi sia sfidare l’individualismo, è illuminante. In un Paese che sopravvive grazie ai traffici, che derivano da confini a dir poco porosi, questi ultimi sono tutto. E i traffici si fanno in una zona grigia dell’economia illegale, sempre più diffusa. Per uscirne serve un senso di bene comune. Non c’è alternativa. E quindi anche la società civile, che ha tentato di opporsi con liste sue al sistema dei signorotti deve imparare dai propri errori: “ Nelle ultime elezioni generali, l’opposizione non è riuscita a unirsi: ogni partito di opposizione voleva presentare i propri candidati, invece di redigere liste comuni. Così, sono risultati eletti solo 13 deputati dell’opposizione su 128. Dovremmo imparare a ridurre l’individualismo per lavorare meglio insieme, specialmente in campo politico, umanitario ed economico”.

Può sembrare impietoso, visto che erano a zero, ma è proprio così, il tempo non abbonda. Così emerge il vero rischio: la rassegnazione. “ A tale proposito, va notato che il campo umanitario è diventato un’espressione di cittadinanza per eccellenza per la dignità dei cittadini, contro quei partiti politici settari che usano gli aiuti umanitari come mezzo di marketing politico per aumentare la propria popolarità tra i sostenitori; o, peggio ancora, per rafforzare la dipendenza dei propri sostenitori, legandoli a sé con donazioni di cibo o aiuti finanziari. Anche il settore culturale è diventato un luogo di rinascita di una cittadinanza sana grazie all’arte, con una fioritura di opere teatrali, mostre di dipinti e sculture, concerti ecc.”

E’ quello che dal Libano si sente indicare come “antidoto” all’altra via, il commissariamento. E chi ha orecchie per intendere farebbe bene a leggere la frase con cui l’articolo si avvia alle conclusioni: “ Di recente, sono stati recuperati in mare più di 90 cadaveri di libanesi partiti clandestinamente su una barca di migranti dal nord del Paese. È il secondo disastro avvenuto in meno di sei mesi. Esso rivela la portata della disperazione vissuta in Libano da gran parte della popolazione, che preferisce correre enormi rischi, imbarcandosi clandestinamente, piuttosto che rimanere in un Paese incapace di garantire una vita dignitosa”. Io penso anche i leader occidentali, alcuni dei quali, forti dei trascorsi coloniali, giocano ancora con la Presidenza del Libano, impedita da ottobre dai giochi paralizzanti tra i partiti che siedono in Parlamento, dovrebbero leggere con attenzione. Forse, se la riflessione cristiana è arrivata qui, vuol dire però che per il Libano-messaggio c’è ancora qualche speranza.



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