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Perché l’economia russa volge al peggio. L’analisi di Polillo

Sostituire l’offerta pubblica a quella privata è stata una conseguenza degli eventi bellici e del crescente isolamento della Russia. Il tallone d’Achille rimane l’inflazione. L’economia della Federazione procede, ma con il passo del gambero

L’economia della Federazione russa avanza. Ma avanza con il passo del gambero. Questa la sensazione, almeno a giudicare dall’ultimo speech di Elvira Nabiullina, governatrice della banca centrale. La quale, per quanto condizionata dalle esigenze della propaganda politica di regime, deve comunque evitare di dire cose che potrebbero essere smentite il giorno successivo. Se ciò avvenisse la credibilità stessa della banca centrale sarebbe compromessa, con conseguenze difficilmente prevedibili per la stessa stabilità economica del Paese.

Le nuove previsioni, appena formulate, indicano un indubbio miglioramento congiunturale. Rispetto alle cifre di qualche mese, che ipotizzavano un calo del Pil del 4,6 %, le nuove previsioni riducono la perdita dello scorso anno al 2,5 %. Qualche decimale in più rispetto alle previsioni del Fondo Monetario, che indicano un meno 2,3 %. Comunque sia le differenze con gli Stati Uniti che quest’anno dovrebbe crescere dell’1,6 %, ma soprattutto con quelle dell’Unione Europea (+3,2 %), rimangono profonde. Per l’anno in corso, la Banca centrale russa spera in un leggero cambiamento, con il Pil che dovrebbe tornare positivo anche se solo dell’1 %.

Le preoccupazioni maggiori riguardano tuttavia aspetti meno appariscenti. La Russia sta cambiando pelle, archiviando definitivamente le riforme Eltsin. Quel tentativo, allora portato avanti, per inserire in un’economia ossificata dall’eccessiva presenza dello Stato un po’ di sano mercato. Oggi invece il pendolo oscilla nella direzione opposta. Tutto quel poco sviluppo russo si basa su una crescita elevata del deficit pubblico. Con lo Stato nuovamente chiamato – nemmeno fossimo ad una riedizione dei famosi “piani quinquennali” – a svolgere un ruolo determinante.

“L’infrastruttura dei trasporti – scrive la Nabiullina – si sta sviluppando rapidamente, grazie alla crescita degli investimenti del governo sempre più importanti in questo settore. Al contrario, i progetti di investimento del settore privato possono essere stati sospesi o diminuiti perché l’attrezzatura richiesta non è disponibile o le aziende sono incerte sulla domanda futura. Il contributo delle spese di bilancio alla dinamica della domanda aggregata è complessivamente in aumento”. Un salto all’indietro, che il dirigismo politico di Putin rischia di alimentare.

Sostituire l’offerta pubblica a quella privata è stata una conseguenza degli eventi bellici e del crescente isolamento della Russia. Quegli investimenti sono infatti necessari per spostare gli assi strategici della produzione e della commercializzazione dei vari prodotti. I flussi mercantili – fa ancora notare la Governatrice – si sono spostati dai porti della Russia Europea a quelli dell’Estremo oriente. Naturalmente non vi sarebbe alcunché di male, se questo “vecchio” modello funzionasse. Il suo tallone d’Achille, come del resto è sempre stato, è invece un’inflazione sempre più persistente.

Lo scorso dicembre il tasso d’inflazione su base annua è stato pari all’11,9% Poteva andar peggio se la domanda interna, per via della guerra, non avesse subito uno spontaneo contenimento dovuto all’incertezza. I russi, preoccupati del loro futuro, preferiscono risparmiare, anche perché i prodotti disponibili sul mercato, per via delle sanzioni, non hanno più l’appeal di una volta. Malgrado ciò i segnali non sono rassicuranti, al punto da spingere la Banca centrale ad aumentare i tassi d’interesse. Al fine di poter ancora sperare di poter contenere l’inflazione futura al 4%.

I fattori che incidono sul fenomeno sono difficilmente comprimibili. C’è, innanzitutto, come già si è detto la politica di bilancio. Negli anni passati in surplus, oggi in forte deficit. Quindi quei consumi, oggi duramente compressi, ma pronti ad esplodere. Altro elemento di preoccupazione, la rigidità del mercato del lavoro. In molte parti del Paese – soprattutto negli Urali ed in Siberia – c’è una forte carenza di mano d’opera, dovuta anche alla mobilitazione per le esigenze belliche. In queste condizioni, i salari rischiano di aumentare più rapidamente della produttività, data la scarsa propensione agli investimenti da parte dei privati. Il rischio di una possibile spirale “prezzi – salari” è quindi dietro l’angolo.

Un capitolo a parte è, infine, quello delle relazioni internazionali. Lo scorso anno il surplus delle partite correnti della bilancia dei pagamenti, grazie all’andamento dei prezzi del gas e del petrolio, era stato pari a 227 miliardi di dollari. Le previsioni per il 2023 sono di solo 66 miliardi di dollari, pari ad appena un terzo. La conseguenza di questo prosciugamento lo si vedrà sulle riserve di valuta, diminuite di oltre 100 miliardi di dollari dall’inizio della “missione speciale”, salvo un limitato recupero a fine anno. Con effetti immediati sul corso del rublo. Sostenuto lo scorso anno dall’ingente surplus commerciale. Le ultime rilevazioni indicano un certo miglioramento rispetto all’euro (poco più del 20 per cento), ma un deciso peggioramento rispetto al dollaro (oltre il 40 per cento).

Ultimo avvertimento, infine, rivolto agli scettici europei. Sempre ai fini di una forte crescita dell’inflazione denuncia la Nabiullina che “c’è ancora il serio rischio di un ulteriore inasprimento delle sanzioni”. Che, a quanto pare, hanno fatto più male di quanto alcuni si ostinano a ritenere.


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