Intervista all’amministratore delegato di AliseiSim, società attiva nell’intermediazione finanziaria ed esperto di questioni bancarie. Davvero sorprendente che i regolatori statunitensi non abbiano capito l’impatto dei tassi sui depositi bancari e sui prestiti. Ora serve un aggiornamento della vigilanza. L’Europa ha un modello più tradizionale, per questo rischia meno. Lehman? Ci sono delle assonanze
Non è il caso di farsi prendere dal panico. Ma di farsi qualche domanda. Il fallimento lampo della banca americana Silicon Valley Bank (Svb), il più grande default bancario dal 2008 negli Stati Uniti ha aperto una serie di interrogativi sul fiuto per le crisi della vigilanza bancaria statunitense, certamente pronta di riflessi una volta rotto l’argine (la Fed ha riunito il board in via straordinaria). Ma, comunque, a danno fatto. Di questo è convinto Wolfram Mrowetz, amministratore delegato di AliseiSim, società attiva nell’intermediazione finanziaria e mobiliare, analista attento alle questioni bancarie.
Piccola premessa. Mentre i mercati globali sono attraversati dall’onda tellurica della scossa arrivata dalla California (Piazza Affari è arrivata a perdere fino al 4%, per poi recuperare un po’ di terreno, anche dopo le rassicurazioni arrivate dal Mef circa la massima attenzione del governo italiano al caso Usa), ha cominciato a prendere forma la genesi del fallimento di Svb.
Seguito a due giorni di tracollo in Borsa (giovedì -60% e venerdì -68%) e figlio di un bank run, ovvero la corsa al ritiro del denaro dai conti correnti. In un solo giorno sono stati prelevati più di 42 miliardi di dollari, anche se il prosciugamento della banca era già iniziato da quando la Federal Reserve ha cominciato ad aumentare i tassi, spingendo i risparmiatori a togliere il denaro dai conti e causando la contrazione della domanda di mutui. Fin qui la storia. Ora c’è da imparare la lezione, nell’attesa che l’incendio venga domato.
Dica la verità, se la aspettava l’esplosione di questo bubbone?
Guardi, verità per la verità, no, non me lo aspettavo. Ma certamente nel sistema bancario, non solo americano, c’è un problema piuttosto grosso.
Sarebbe?
Quando i tassi sono negativi o comunque bassi, per molti anni, sorgono molte società zombie. E dietro di esse ci sono sempre le banche che per avere uno straccio di remunerazione, riempiono i loro bilanci con prodotti illiquidi. Poi, quando i tassi sono saliti, ecco la crisi. E così dinnanzi a 170 miliardi di attivi, ci sono stati prelievi per decine di miliardi. Ora, trovo veramente stupefacente che la vigilanza non abbia controllato e verificato la scarsa copertura di Svb per fronteggiare momenti di tensione sul mercato, come quello attuale, dopo la risalita dei tassi. Ecco, il cono d’ombra è questo.
Quindi sta dicendo che il sistema bancario e la vigilanza statunitensi nascondono delle fragilità di fondo che sarebbe meglio sanare?
Esattamente. Parlo soprattutto del credito a livello ragionale. La vera fragilità sa quale è? L’incredibile velocità di questi fallimenti. Vede, oggi gli sportelli non esistono più, non siamo più negli anni ’50. E allora, in pochissimi minuti, si può drenare una grande quantità di capitale dagli istituti. Insomma, è tutto molto veloce. Ed è qui il problema della vigilanza, non essersi settata su tale rapidità dei default. Quando fallì, nei primi anni 2000, una delle principali banche giapponesi, accadde tutto in pochissime ore. Come vede i precedenti non mancano.
Cosa possono fare ora le autorità americane?
Non sarà facile avere più regolamentazione. Negli Stati Uniti non c’è una propensione all’ingerenza, anche in virtù della natura federale della Nazione. Si tratta della psicologia del ‘meno possibile’, una forma mentis tipicamente americana.
Mrowetz, in queste ore molti osservatori stanno rievocando il fantasma di Lehman Brothers, forse la madre di tutti i fallimenti bancari americani. Una forzatura?
Io vedo delle assonanze. Anche Lehman Brothers è rimasta vittima della famelicità che abbiamo visto in Svb, che ha prestato denaro senza preoccuparsi, tra le altre cose, dei possibili effetti di un rialzo dei tassi sui depositi. Nel caso di Lehman, però, c’era di mezzo il settore immobiliare, non le start up.
Guardiamo all’Europa. Un caso come quello di Svb potrebbe verificarsi anche al di qua dell’Atlantico?
Il nostro Continente è forse più immune. Fino a qualche anno fa le grandi banche di investimento erano messe male, con prodotti illiquidi nel portafoglio. Ora tale situazione è parzialmente migliorata. In Italia, poi, la natura decisamente più tradizionale degli istituti dovrebbe in qualche modo fungere da protezione.
I mercati sembrano aver accusato il colpo. Dobbiamo aspettarci un effetto contagio di lungo termine a livello di listini?
Dipende da come la Fed e i regolatori statunitensi gestiranno il caso. Forse è presto per dirlo. Se si agirà con tempestività, tutto allora si sgonfierà.
Un’ultima domanda. Abbiamo visto, forse per la prima volta, i social network partecipare attivamente a un dissesto bancario. Il panico prima è scattato su Twitter e Telegram, poi si è materializzato nella fuga dei depositi. Anche questo fa parte della nuova fenomenologia dei fallimenti?
In parte sì, purtroppo è la grande contraddizione di internet. Bastano pochi messaggi (veri o no, poco importa) per scatenare il panico generalizzato e poi quello che abbiamo visto. Dovremo conviverci, temo.