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Leggere la storia d’Italia dalla prospettiva cinese. Il libro di Sisci

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Il libro traccia una storia d’Italia come filo rosso della storia occidentale, compreso il mondo russo e musulmano. Si sofferma sul perché la rivoluzione industriale sia avvenuta in Europa e non altrove e sul processo di sinizzazione dell’Occidente portato avanti dai gesuiti

Questo testo è un estratto di “Breve storia d’Italia con caratteristiche cinesi” di Francesco Sisci, tradotto in italiano per Formiche.net da Matteo Turato

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La Cina ha sempre creduto nella storia. Fin dall’antichità, dai tempi di Confucio e Mozi, da quando la dinastia Zhou compilò il Registro dei Riti, il Li Ji, uno degli elementi culturali più importanti, se non il più importante, è stato la storia e la sua scrittura piuttosto che i testi sacri religiosi, siano essi la Bibbia o il Corano. Quindi comprendere gli Stati e le civiltà significa analizzarne la storia. Mettere ordine storico sulla dinastia e sul passato era la priorità ideologica massima di ogni dinastia regnante. Scrivere la storia era lo strumento ultimo di giustificazione ideologica e di legittimazione del potere. Da oltre un secolo, la Cina sta attraversando un doloroso processo di modernizzazione – che in realtà è un processo di occidentalizzazione – simile ma più profondo e veloce del processo con cui la Cina ha assorbito, è stata cambiata e ha cambiato il buddismo indiano nel primo millennio dopo Cristo.

Quindi, perché i cinesi possano comprendere appieno a cosa stanno andando incontro, è fondamentale per loro conoscere la storia dell’Occidente. Solo avendo chiara la storia dell’Occidente, la Cina saprà dove sta andando. Non si tratta solo di democrazia, diritti umani, internet o missili; si tratta di cambiare la storia, di cambiare la comprensione della storia propria e altrui, di cambiare i modelli e le proiezioni storiche.Tuttavia, questo Occidente, in cui la Cina vuole in qualche modo trasformarsi, è diviso in diversi Stati con diverse storie. Come può allora la Cina guardare all’Occidente? Quando inizia la storia dell’America? Duecento anni fa? Di più? Di meno? Quanti anni ha la Russia? Quattrocento? Di più? Quanto di più?

Sembra un rompicapo impossibile da risolvere. In realtà, l’America e la Russia, ma anche molti Paesi del sud del Mediterraneo, iniziano la loro storia – o si trovano fortemente intrecciati – a quella dell’impero romano, che è durato circa duemila anni, e forse è ancora qui nella nuova incarnazione della Santa Sede, erede di molte antiche tradizioni romane. Infatti, se consideriamo che la storia documentata è di circa tremila anni, sia per l’Occidente che per la Cina, oltre il novanta per cento di questa storia si trova in Italia, dagli antichi greci, ai romani, al Rinascimento, ai gesuiti, che si recarono in Cina. La storia dell’Italia può quindi essere uno specchio eccellente, anche se parziale, attraverso il quale i cinesi possono guardare alla storia occidentale per comprendere meglio il loro attuale processo di modernizzazione, che è in gran parte occidentalizzazione.

Non esiste una storia aggiornata dell’Italia in Cina, e certamente non esiste nulla di specifico per il lettore cinese, e questo libro cerca di dare una prima risposta a questa esigenza. I cinesi, del resto, sentono che c’è qualcosa di unico che li lega agli italiani, e non è semplicemente Marco Polo o Matteo Ricci: è il sentimento profondo di provenire da antiche civiltà ininterrotte. Questa storia dell’Italia è incompleta e forse superficiale. La storia occidentale, anche se vista dal buco della serratura della storia italiana, è troppo lunga e complessa. Ma qui le scelte sono state fatte pensando a un lettore cinese, per fornirgli una prima tappa completa della storia italiana, per potere spaziare in tutte le direzioni che vorrà successivamente seguire.

Almeno, la mia speranza è che i lettori cinesi possano avere una prima facile risposta alle loro tante curiosità e interessi. La cosa può forse funzionare anche nell’altro senso. I lettori occidentali, sicuramente più familiari con la storia italiana, potrebbero trovare in questo libro una chiave per la Cina, più facile da avvicinare attraverso la propria storia che attraverso la misteriosa storia cinese. Ciò che i cinesi di oggi cercano, cosa cercano, cosa li incuriosisce della storia italiana, dice anche agli occidentali cosa dovrebbero cercare quando guardano alla Cina.

Nei libri scolastici di storia italiana degli anni Sessanta, quelli che usavo da bambino, una lezione standard era la critica alla posizione sull’Italia del  primo ministro austriaco, il principe Klemens Wenzel Von Metternich. I libri spiegavano che nel 1815, al Congresso di Vienna, che riorganizzò i confini e gli Stati d’Europa dopo le guerre napoleoniche, Metternich respinse le ambizioni politiche verso uno Stato unitario e reimpose il controllo austriaco sulla penisola, accompagnandola con la frase: “L’Italia è solo un’espressione geografica”. Dunque non poteva avere ambizioni politiche e doveva rimanere divisa in una dozzina di staterelli privi di influenza al di là delle Alpi.

L’Italia unitaria degli anni Sessanta del XIX secolo dimostrò errata questa affermazione, con le guerre napoleoniche che portarono il primo sentimento di uno Stato italiano. Napoleone inventò la Repubblica Cisalpina nell’Italia settentrionale alla fine del XVIII secolo, dopo la sua prima campagna contro gli Austriaci, e diede all’Italia la sua prima bandiera, che si differenziava da quella rivoluzionaria francese solo per un colore: quella francese era (ed è) blu, bianca e rossa; quella italiana era (ed è) verde, bianca e rossa. Anche la differenza di colore era minima, poiché il verde è un colore molto simile al blu. La Francia napoleonica si sentiva vicina agli italiani e il sentimento era calorosamente ricambiato.

Dopotutto la Corsica, luogo di nascita di Napoleone Bonaparte, fu venduta alla Francia da Genova nel 1764. All’inizio si trattò di un trattato segreto, quando il Duca di Choiseul, allora ministro della Marina, la acquistò a nome della corona francese. Genova lo fece perché non era riuscita a reprimere la ribellione indipendentista guidata da Pasquale Paoli e voleva sbarazzarsi di quei facinorosi traendone qualche profitto. Nel 1755 Paoli aveva proclamato la Repubblica Corsa con una costituzione che potrebbe aver influenzato la successiva Costituzione americana. Paoli fondò la prima Università della Corsica (con insegnamento in italiano). Paoli considerava i Corsi un popolo italiano. Anche Napoleone, nato nel 1769 da una famiglia originaria della Toscana (Bonaparte è un cognome tutto italiano, che significa “parte buona”), potrebbe essersi ispirato a Pasquale Paoli, i cui sostenitori condussero una guerra di resistenza sull’isola per molti anni dopo l’annessione alla Francia.

Tuttavia, prima della Repubblica Cisalpina, e soprattutto prima dell’annessione del Regno di Napoli (che governava tutta l’Italia meridionale) al Regno di Savoia (che governava parte dell’Italia settentrionale e parte dell’Italia centrale) nel 1861, non era mai esistito uno Stato italiano unitario. Anche al momento dell’istituzione della Repubblica, l’Italia non era unita. L’area di Venezia passò venne annessa nel 1866, grazie all’alleanza con la potenza emergente dei prussiani contro gli austriaci in declino. Roma e i suoi dintorni furono conquistati nel 1870 in una guerra contro lo Stato Pontificio, mentre le zone intorno alle città di Trento e Trieste furono strappate al dominio austriaco solo alla fine della Prima Guerra Mondiale, nel 1918.

Quindi Metternich aveva ragione nel 1815 a non credere in un’entità politica chiamata Italia, e i libri di storia italiana degli anni Sessanta si sbagliavano. La questione dell’”espressione geografica” supportava la fredda e realistica affermazione del principe austriaco, modello di riferimento per frotte di diplomatici fino a Henry Kissinger. L’Italia era stata il centro dell’Impero Romano, ma prima, dopo e anche durante, vi abitarono molti popoli diversi, con lingue e costumi diversi.

Gli arabi semiti avevano dominato la Sicilia e i turchi dell’Asia centrale avevano conquistato le coste dell’Italia meridionale; prima di loro c’erano stati i greci che pensavano che la penisola italiana fosse una Grecia allargata (Magna Grecia); i fenici vivevano tra la Sicilia e l’odierna Tunisia; la Gallia si estendeva su entrambi i versanti delle Alpi, la pianura padana e l’odierna Francia; e gli etruschi, un popolo oscuro forse originario dell’Anatolia, hanno lasciato un segno indimenticabile. Anche i vichinghi dalla Norvegia e i principi o i pirati dalla Francia o dalla Spagna o dalla Germania erano arrivati a reclamare questo o quel pezzo della penisola.
Nessuno aveva governato l’Italia nella sua interezza, solo i Romani, ma per loro era solo il nodo di una rete molto più grande, il loro impero.

Il caleidoscopio di lingue diverse poteva far freddamente supporre che l’Italia non avesse motivo di essere trattata come un’unità. Anche dopo l’unificazione rimase molto divisa, con dialetti e lingue reciprocamente incomprensibili, tanto che chiunque, non solo Metternich, avrebbe potuto trovare molte ragioni per sostenere che l’unità politica della penisola fosse stata un enorme errore.

Tuttavia, c’è anche qualcosa che unisce l’Italia. È qualcosa di difficile da definire in modo specifico, ma c’è sicuramente. È una cultura comune: l’interazione di persone che si sono incontrate e combattute per millenni in un piccolo spazio che tuttavia ha esteso la sua influenza su tutto il mondo, uno spazio che è stato per secoli il centro della civiltà occidentale. Infatti, dei circa tre millenni di civiltà occidentale, oltre il novanta per cento si trova in Italia, tanto che la storia del mondo occidentale non può prescindere dall’Italia e la storia dell’Italia è in qualche modo una versione sintetica della storia dell’Occidente.

Anche oggi, mentre l’importanza politica ed economica dell’Italia è in declino da decenni, la penisola ospita due delle organizzazioni più potenti del mondo. La Chiesa cattolica, con sede a Roma, di gran lunga la più grande religione unitaria del mondo, e la mafia, forse ancora la più formidabile organizzazione criminale del pianeta. Con queste due realtà che assorbono le migliori menti del Paese, si potrebbe sostenere con un sorriso, cosa resta alla politica italiana? Inoltre, nonostante le difficoltà economiche generali, l’Italia ha alcune nicchie uniche: la sua industria alimentare con pasta, pizza ecc. è popolare in tutto il mondo, il suo calcio è seguito da miliardi di persone in tutto il mondo, la sua moda non è seconda a nessuno e ci sono centinaia di eccellenze in quasi tutti i settori industriali.

Sembra un miracolo che tutto ciò avvenga nonostante la sua pessima gestione politica. Oppure è così a causa della sua gestione politica, come sostenevano alcuni politici democristiani negli anni ’80? Mussolini, leader dell’Italia dal 1922 al 1943, diceva notoriamente: “cercare di governare gli italiani non è impossibile, è inutile”. O forse si tratta di una forma di giustizia divina: se gli italiani trovassero un buon sistema politico per loro stessi, nessun altro Paese avrebbe alcuna possibilità di sopravvivere, come avvenne per l’impero romano. Eppure gli italiani per secoli hanno trovato il modo di governarsi in modo diverso. Soprattutto, per secoli l’influenza italiana è andata ben oltre i confini dell'”espressione geografica” e ha contribuito a plasmare l’Europa, il Mediterraneo e il mondo.

Questo libro è un piccolo assaggio di come ciò sia avvenuto, di come l’Italia sia diventata ciò che è ora e del perché la sua eredità sia così importante per tutti.

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