Tre economisti interpellati dal Center for strategic and international studies dicono la loro sul crack della banca americana. La rete ha scatenato il panico, materializzatosi nella corsa ai depositi. Ma anche i regolatori hanno dormito. Non tutti, però, sono d’accordo
Tre voci per un problema. L’onda lunga del fallimento di Svb scuote ancora mercati e investitori, anche se il panico iniziale sembra momentaneamente sopito. Eppure, sarebbe meglio non fidarsi troppo della ritrovata calma, forse solo apparente. Almeno così la pensano tre economisti di peso come Stephanie Segal, Gerard Di Pippo e Mark Sobel, che in un report del Csis dicono la loro sul peggior crack bancario degli ultimi 15 anni.
IL GOVERNO DEI SOCIAL
La prima voce è quella di Segal, per la quale la Federal Reserve, di raccordo con il Tesoro americano, sta facendo un buon lavoro, nell’assicurare i depositi e la liquidità ai risparmiatori, terrorizzati dalla prospettiva di aver perso tutto. “La Fed sta aiutando dove può: sul lato attivo dei bilanci delle banche. Per quanto riguarda la responsabilità, in particolare, verso i depositanti, il compito dell’autorità di regolamentazione è dare fiducia ai risparmiatori e dire che i loro depositi sono al sicuro”.
L’attenzione dell’economista si concentra poi sul ruolo della rete nel fallimento di Svb. E cioè sul fatto che la banca sia saltata per aria anche per colpa di un panico scoppiato sui social network. In un mondo in cui un singolo tweet o e-mail può innescare una corsa agli sportelli, il compito della vigilanza è doppiamente difficile”.
POTEVA ANDARE PEGGIO
L’economista Di Pippo sposta poi l’attenzione sugli effetti tellurici del default, che potevano essere anche più devastanti di quanto non lo siano. “I rischi internazionali derivanti dal fallimento di Svb sono probabilmente minimi in assenza di una crisi molto più ampia con implicazioni macro. Ciò sarebbe potuto essere se Washington non avesse garantito tutti i depositi, scongiurando così un danno a molte aziende tecnologiche, che a loro volta hanno spesso investitori stranieri”.
Attenzione però a non dormire sugli allori. ” Mentre la Federal Reserve e le altre banche centrali continuano i loro sforzi per arginare l’inflazione, emergeranno altre criticità (la crisi di Svb è nata dal repentino innalzamento dei tassi, proprio al fine di combattere l’inflazione, ndr). Ciò aumenta l’importanza del coordinamento internazionale e solleva interrogativi sui costi di affidarsi esclusivamente alla politica monetaria per gestire lil costo della vita”. Come a dire, non si può decidere il destino della finanza e delle banche solo con l’azionamento delle leva dei tassi.
VIGILANZA SOTTO ACCUSA
Non la pensa così Mark Sobel. La vigilanza americana ha le sue colpe e per questo bisogna andare fino in fondo alla vicenda. “Svb era la sedicesima banca più grande degli Stati Uniti e non era vista come sistemica. Tuttavia, il suo contagio e la sua interconnessione mostrano il contrario”.
“Molti daranno la colpa del crollo di Svb al ciclo di rialzi dei tassi della Federal Reserve. Sarebbe facile. Altre aziende stanno affrontando questi aumenti senza crollare. Il portafoglio di Svb, i depositi non assicurati sproporzionatamente grandi, la forte crescita degli stessi e il portafoglio obbligazionario ampio e, secondo quanto riferito, non coperto, avrebbero dovuto far scattare allarmi rossi alle autorità di regolamentazione. Un’indagine per stabilire se e perché le autorità di regolamentazione non hanno svolto il proprio lavoro è opportuna”.