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La moltiplicazione dei Bertinotti e la solitudine di Giorgia. Il commento di Cangini

Vista da fuori, riaffiora l’immagine dell’italietta inaffidabile e venerea (nel senso di seguace della pacifica dea Venere). Vista da dentro, si assiste a un’ulteriore spallata al già minoritario consenso popolare al governo (e all’Europa, e alla Nato, e all’Occidente) sul conflitto in Ucraina

Che a contare siano i voti espressi in Parlamento è vero. Ma è vero fino a un certo punto. A contare sono anche l’affidabilità internazionale, la dignità istituzionale e il messaggio lanciato all’opinione pubblica. Quando, nel pieno della polemica sul rifinanziamento delle missioni militari italiane, alla parata del 2 giugno l’allora presidente della Camera Fausto Bertinotti esibì al bavero della giacca una spilla pacifista non fece con tutta evidenza un buon servizio né alla reputazione dell’Italia, né alla credibilità delle sue Istituzioni, né alla legittimità politica del governo Prodi, di cui pure faceva parte. Ebbene, oggi al governo dell’Italia c’è Giorgia Meloni e di Fausto Bertinotti nella maggioranza se ne contano ben due, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, più uno all’opposizione, Elly Schlein.

Votano per le armi predicando contro il loro uso. Dicono di sì scuotendo vistosamente la testa. Il tutto in un contesto internazionale ben più delicato e caratterizzante di allora. Un contesto, dal punto di vista geopolitico e valoriale, di fatto “costituente”. Un contesto reso surreale dalla presenza al centro della scena parlamentare di un signore che da presidente del Consiglio aumentò la spesa militare del 17% (3,5 miliardi e rotti) e che ora guida una vociante carovana indiana finto pacifista fermamente contraria all’invio di armi al popolo ucraino.

Giorgia Meloni appare dunque sola. Sola con una colossale responsabilità politica, storica e pedagogica rispetto alla nazione. Sola con il suo partito e sulla politica estera e di difesa sostenuta convintamente in Parlamento solo dal Terzo Polo. Una minoranza in Parlamento, una minoranza nella società.

Vista da fuori, riaffiora l’immagine dell’italietta inaffidabile e venerea (nel senso di seguace della pacifica dea Venere secondo la sprezzate dicotomia Marte-Venere coniata dal politologo americano Robert Kagan). Vista da dentro, si assiste a un’ulteriore spallata al già minoritario consenso popolare al governo (e all’Europa, e alla Nato, e all’Occidente) sul conflitto in Ucraina.

La situazione è seria ed è difficile pensare che possa migliorare. Quello del consenso, per dirla male, “alla guerra” è già oggi e, tra nuovi Bertinotti e vecchi Pulcinella, ancor più sarà domani motivo di scelte politiche e di fratture interne, internazionali ed istituzionali; oltre che una complessa questione democratica.



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