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La sovranità tecnologica e l’indipendenza nazionale. L’intervento di Cerra

Il potenziamento della sovranità tecnologica, attraverso adeguati investimenti in ricerca e innovazione, è la chiave per rafforzare il posizionamento dell’economia italiana ed europea lungo le catene del valore internazionali, stimolare la crescita e aumentarne il peso economico. L’intervento di Rosario Cerra, fondatore e presidente del Centro economia digitale, in occasione del convegno “La sovranità tecnologica e l’indipendenza nazionale” organizzato da FareFuturo e Digital policy council alla Camera dei deputati

Viviamo in un presente eccezionale, in cui grandi cambiamenti avvengono in tempi rapidissimi. Un tempo nel quale crisi di diversa natura si susseguono facendo emergere tutti i grandi nodi irrisolti del recente passato; un tempo in cui l’idea stessa di futuro ha subito un’accelerazione imponendoci di prendere piena consapevolezza della portata e della velocità, innanzitutto, della rivoluzione tecnologica digitale e dei cambiamenti climatici in atto; un tempo in cui la guerra in Ucraina favorisce il disaccoppiamento tra Stati Uniti e Cina anche attraverso un ridimensionamento dell’off-shoring, che ha catene di approvvigionamento convenienti dal punto di vista economico, ma fragili, e con l’emergere del friend-shoring, il near-shoring, tutto con catene più legate ai rapporti geopolitici ma inevitabilmente più costose; un tempo in cui le banche centrali abbandonano la politica monetaria espansiva; un tempo in cui il brusco risveglio dei leader occidentali li ha portati a comprendere, non tutti in verità, ma gran parte, che affidarsi pienamente a regimi autocratici è rischioso più di quanto non sia probabile che i processi economici di mercato possano farli evolvere verso uno schema liberale; un tempo nel quale gli scenari di prosperità e pace prospettati a cavallo tra il secondo e il terzo millennio rischiano di dover essere rivisti in maniera significativa. Dobbiamo quindi riconoscere l’accresciuta complessità della realtà che stiamo vivendo. Per i policy maker, manager o imprenditori che siano, prendere decisioni che avranno un impatto profondo sul presente e sul futuro di intere comunità è un’attività sempre più difficile. In particolare, la complessità di gestione di politiche trasformative dei nostri sistemi produttivi andrà prima necessariamente ben compresa e poi ben affrontata. Sono passaggi fondamentali per poter definire innanzitutto obiettivi chiari e, a seguire, una strategia coerente. Una strategia che tenga conto del fatto che sarà l’abilità delle economie delle nazioni di allineare le proprie capacità tecnologiche e produttive alle nuove dinamiche di innovazione che ne determinerà in modo rilevante le traiettorie di crescita e il peso sul piano geostrategico.

È per questo che riteniamo che il potenziamento della sovranità tecnologica, attraverso adeguati investimenti in ricerca e innovazione, è la chiave per rafforzare il posizionamento dell’economia italiana ed europea lungo le catene del valore internazionali, stimolare la crescita e quindi aumentarne il peso economico riequilibrando i futuri assetti dell’economia globale a favore del nostro Paese e dell’Unione. Questo tenendo ben presente che la Sovranità Tecnologica non significa fare tutto da soli ma sviluppare capacità tecnologiche nei settori strategici utili a evitare dipendenze unilaterali e a sfruttare le attività di collaborazione con partner ritenuti affidabili. L’affidabilità di cui parliamo è quella che si afferma a monte e a valle di una relazione con un partner con cui si instaura un sistema valoriale, di visione, interessi strategici e di fiducia condivisi. Come dimostreremo tra poco, l’aumento degli investimenti in Ricerca e Innovazione determina rilevanti effetti propulsivi per la competitività e la crescita economica con ricadute significative in termini di peso strategico nell’economia mondiale dei diversi paesi.

Le interrelazioni tra Ricerca e Innovazione, Sovranità Tecnologica e Crescita Economica sono funzionali al raggiungimento del più ampio obiettivo di Autonomia Strategica europea. Parliamo della capacità dell’Unione Europea di svolgere un ruolo autonomo e strategico nel contesto geopolitico, diventando parte attiva nelle questioni di rilevanza globale. Significa essere in grado di detenere un’indipendenza nelle scelte strategiche, pur mantenendo al contempo l’interdipendenza con altri paesi, garantendo la tutela degli interessi economici e dei valori fondanti della società europea.

Passiamo quindi alle evidenze econometriche. L’obiettivo dell’analisi sviluppata dal Centro Economia Digitale è valutare gli effetti della spesa in Ricerca e Sviluppo sul livello del Prodotto Interno Lordo. In particolare, l’analisi consente di stimare dei moltiplicatori di impatto, ovvero l’effetto in termini di ricchezza aggiuntiva generato da un incremento persistente di spesa in R&S. L’analisi è stata effettuata considerando un panel di paesi Ocse, un panel di paesi dell’Area Euro (Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Olanda, Portogallo, Spagna) e quattro paesi analizzati separatamente, Italia, Francia, Germania e Stati Uniti.

Nel primo grafico che presentiamo vengono riportati i valori dei moltiplicatori di impatto. Un moltiplicatore pari a 3 indica, ad esempio, che per ogni Euro aggiuntivo speso in R&S il PIL aumenta di 3 Euro. Quindi, maggiore è il livello del moltiplicatore stimato, maggiore è l’impatto economico positivo generato dalla spesa in R&S effettuata. I risultati ottenuti per il panel dei Paesi Ocse mostrano come, in generale, la spesa in Ricerca e Sviluppo eserciti un effetto positivo e rilavante sul Pil. Tuttavia, le analisi sulle diverse aree economiche mostrano una forte eterogeneità. In risposta a un incremento di spesa totale in R&S, il moltiplicatore medio risulta essere pari a 9,6 negli Stati Uniti.

Significa che in questo Paese per ogni dollaro aggiuntivo speso in Ricerca e Sviluppo vengono generati 9,6 dollari in termini di maggiore Pil. Il valore del moltiplicatore della spesa in R&S per i paesi europei considerati è invece pari a 5,29, un valore inferiore a quello stimato per gli Stati Uniti ma comunque molto elevato.

Nel dettaglio, il valore medio del moltiplicatore risulta essere pari a 4,29 nel caso dell’Italia, 4,89 nel caso della Francia e 6,08 in Germania. I diversi valori dei moltiplicatori riflettono il diverso grado di sviluppo tecnologico e quindi di accumulazione di conoscenza nei vari paesi. I risultati ottenuti indicano quindi l’esistenza di rendimenti crescenti associati agli investimenti in R&S. In altre parole, l’effetto sul PIL cresce all’aumentare della capacità tecnologica dei paesi. E non è un caso che proprio Stati Uniti e Germania nell’ultimo decennio mostrino un’intensità degli investimenti in R&S crescente e significativamente superiore alla media europea.

Entrando nel dettaglio e guardando alla ripartizione tra spesa pubblica e privata in R&S emergono risultati di assoluto interesse sulla capacità di entrambe le leve di stimolare effetti moltiplicativi sul resto dell’economia. L’analisi effettuata mostra infatti come il contributo della Ricerca e Sviluppo pubblica risulti consistente, con un livello medio del moltiplicatore della spesa pari a 6,81 nei paesi OCSE, 10,88 negli Stati Uniti e 6,18 in Europa. Un risultato che sottolinea l’importanza di disporre di un sistema pubblico della ricerca di alta qualità e l’ampiezza dei ritorni economici generati dalla produzione di conoscenza scientifica e tecnologica nel settore pubblico.

È inoltre interessante notare come il modello statunitense sia quello più capace di attivare un circolo virtuoso tra investimenti pubblici e privati. Il valore del moltiplicatore medio degli investimenti privati in R&S è infatti pari a 9,09 negli Stati Uniti, mentre è 3,81 nei paesi europei considerati. Questo risultato segnala, da un lato come gli effetti moltiplicativi della R&S risultino essere molto ampi sia nella componente privata sia pubblica, ma anche che il sistema innovativo degli Stati Uniti è quello che riesce a estrarre il massimo valore in termini di impatto economico dagli investimenti sia pubblici che privati in ricerca e innovazione. Un risultato che si spiega guardando alla struttura del sistema innovativo statunitense e alle politiche industriali realizzate in questo Paese nel corso degli anni. Analogamente, la nostra analisi sottolinea come il dato della Germania, sia stato positivamente influenzato in particolare da un forte incremento negli anni delle risorse destinate alla R&S e da uno strumento di politica industriale molto efficace: il Fraunhofer. Un’organizzazione di ricerca applicata con un budget annuale di 2,9 miliardi di euro e 76 istituti sparsi su tutto il territorio a cui si rivolgono migliaia di imprese per la soluzione di problemi tecnologici specifici. Ne emerge un quadro in cui la capacità dei paesi di beneficiare dei ritorni economici delle spese in Ricerca e Sviluppo differisce in maniera molto rilevante.

Questa capacità dipende non solo dall’intensità dello sforzo innovativo ma anche dalla diversa qualità delle interazioni che si realizzano tra gli attori pubblici e privati. Sistema pubblico e sistema privato agiscono quindi come le due lame di una forbice. È solo quando le due lame sono entrambe affilate e agiscono in sinergia l’una con l’altra, che si produce l’effetto desiderato. E oggi siamo qui proprio per sottolineare come solo facendo lavorare e crescere insieme e nella stessa direzione gli elementi del Sistema che potranno essere raggiunti risultati di rilievo per la competitività tecnologica e la crescita del Paese. È bene ribadire che rafforzare il sistema della ricerca e dell’innovazione non significa puntare alla leadership tecnologica in tutti i campi ma cercare di costruire un sistema in grado di generare e utilizzare conoscenza di frontiera nelle aree ritenute strategiche e nei settori con il più alto potenziale in termini di crescita dei mercati. È un obiettivo che il Paese è certamente in grado di realizzare, intervenendo con decisione e attraverso una visione strategica che traguardi anche obiettivi di medio-lungo periodo. Proponiamo qui tre spunti di policy. Il primo è orizzontale gli altri due verticali e si riferiscono ai 2 principali megatrend in atto: quello digitale e quello della transizione verde. Partiamo dalle strategie orizzontali. Il nuovo patto di Stabilità porrà dei vincoli alla dinamica della spesa pubblica. Sarà per questo ancor più fondamentale distinguere tra spesa pubblica produttiva o meno. E per quanto abbiamo appena mostrato sarà bene definire da subito una strategia che guardi oltre la scadenza del PNRR, anche per rendere stabili all’interno del bilancio dello Stato le risorse aggiuntive previste nel Piano per gli investimenti in ricerca. Occorre però realizzare un processo di convergenza strategica, coinvolgendo il mondo produttivo, in modo da evitare un’eccessiva frammentazione delle risorse, focalizzando i finanziamenti attorno a progetti di grandi dimensioni, coerenti con la strategia europea e capaci di generare elevate ricadute su tutta la filiera produttiva. Nell’ambito di questa strategia un ruolo chiave è rappresentato dalla valorizzazione e il potenziamento delle infrastrutture tecnologiche e di ricerca in una logica di sistema Paese. Si tratta di costruire, anche partendo dalle strutture e organizzazioni esistenti, una rete diffusa sul territorio e interconnessa, capace di attrarre finanziamenti sia nazionali sia internazionali, di fornire competenze e soluzioni tecnologiche innovative alle imprese, di creare spin-off della ricerca, di accumulare localmente conoscenze scientifiche e tecnologiche in grado di nutrire lo sviluppo dei diversi ecosistemi dell’innovazione.

La Germania si è dotata di un sistema molto efficace come la rete Fraunhofer. Va detto con onestà: è un modello difficilmente replicabile in Italia specie in tempi brevi. È necessario, tuttavia, trovare una via italiana per amplificare le relazioni tra mondo della ricerca e imprese, aumentare l’impatto economico delle attività di ricerca. Questo sempre tenendo ben chiaro l’obiettivo di evitare duplicazioni e frammentazione delle risorse, perché non ce lo possiamo davvero permettere. Sulla trasformazione digitale e il potenziamento della sovranità digitale in Italia e in Europa, una spinta fondamentale sarà generata dal pieno coinvolgimento nelle molteplici iniziative a livello europeo, a partire da quelle previste nell’ambito della Strategia europea sui dati. In particolare, segnaliamo che il processo per la definizione di un nuovo accordo transatlantico per lo scambio dei dati è andato molto avanti. Oltre alle importanti ricadute economiche, questo accordo rappresenta un tassello importante nell’ambito della strategia europea sulla Sovranità Digitale. Un tema su cui l’Europa è arrivata in ritardo e su cui ha peccato di eccessiva passività, come dimostrato non solo dalla necessità di rinegoziare i rapporti transfrontalieri sui flussi di dati ma, soprattutto, dalle limitate capacità tecnologiche e produttive sviluppate nel campo delle piattaforme e, più in generale, dell’economia digitale. Dovrebbe essere ormai chiaro che la tecnologia digitale è una quinta dimensione strategica, oltre alla terra, al mare, all’aria e allo spazio, attraverso la quale vengono veicolate e concretizzate le espressioni della sovranità nazionale o sovranazionale nel caso dell’Unione. Il digitale non è però una dimensione strategica come le altre poiché non può essere vista come un dominio separato, in quanto attraversa, nel profondo, tutti gli altri. Per questo motivo le capacità sviluppate in questo ambito permettono di consolidare la propria sovranità nelle altre dimensioni strategiche. Dopo aver partecipato alla prima ondata della rivoluzione digitale praticamente da spettatrice, o al massimo da arbitro – guidando lo sviluppo degli aspetti regolatori – nella sfida tra Stati Uniti e Cina, l’Europa deve necessariamente cercare di trarre il massimo vantaggio dalle grandi opportunità offerte dall’utilizzo della nuova ondata di dati provenienti dal mondo industriale e dalle applicazioni IoT (Internet of Things). Sono settori in cui l’Europa e anche l’Italia, come seconda manifattura del continente, svolgono ancora un ruolo significativo. In questo campo il Data Act dell’UE è l’elemento finale, e probabilmente il più importante, di un ambizioso programma legislativo che riguarda la trasformazione digitale dell’Europa. E vale la pena qui mettere in luce due aspetti a nostro avviso rilevanti.

Primo, serve una tempestiva consultazione con gli Stati Uniti per evitare conflitti transatlantici simili a quelli registrati per anni sui trasferimenti di dati personali e che, solo ora, sembrano avviarsi alla conclusione. Nell’attuale contesto geopolitico, la costruzione di un contesto di regole certe e di un clima di reciproca fiducia tra le due sponde dell’Atlantico rispetto alla condivisione dei dati potrà, infatti, contribuire in maniera decisiva allo scambio di conoscenze scientifiche e tecnologiche e al rafforzamento delle rispettive capacità di sviluppare innovazioni. Secondo, considerato che il Data Act agisce sui fondamenti dei modelli di business basati sui dati delle imprese europee, occorre evitare pericolosi salti nel buio perché, come l’esperienza ci insegna, intervenire successivamente per riparare i danni è molto difficile. Se infatti da un lato è opportuno evitare che l’eccessiva concentrazione dei dati limiti la crescita di un ecosistema di imprese europee, è altrettanto vero che occorre evitare che l’obbligo di scambio dei dati impatti negativamente sui vantaggi tecnologici e produttivi che queste imprese hanno o stanno sviluppando, oltre che sugli aspetti legati alla cybersecurity. Nonostante questi aspetti siano stati tenuti in considerazione nell’ultima versione adottata dal Parlamento Europeo, l’attenzione sul tema della “protezione del segreto commerciale” deve rimanere alta al fine di definire quale sia il meccanismo più efficace per garantire la protezione di un know-how che va condiviso solo quando e quanto necessario. Passiamo al secondo elemento verticale. La transizione energetica rappresenta un pilastro fondamentale per sostenere un processo di crescita sostenibile. In questa fase storica caratterizzata da incertezza, in cui il tema della sicurezza del sistema energetico è sempre più centrale, è necessario confermare e rilanciare gli sforzi sugli obiettivi di decarbonizzazione. L’Unione Europea ha annunciato un Green Deal Industrial Plan per rispondere ai 369 miliardi di dollari di incentivi previsti dall’Inflation Reduction Act (IRA) e destinati a investimenti verdi e alla sicurezza energetica degli Stati Uniti. Una risposta che non sembra pienamente adeguata e soprattutto di rapida attuazione. Bisogna prendere atto, come hanno fatto negli Stati Uniti, che l’accelerazione nella diffusione delle energie rinnovabili solleva enormi problemi dal punto di vista delle dipendenze da paesi terzi. L’Europa ha sviluppato negli anni una leadership significativa nel quadro regolamentare e nello sviluppo di un’articolata strategia contro il cambiamento climatico, che però guarda soprattutto al lato della domanda e della diffusione delle tecnologie. La sfida che l’IRA ci pone di fronte non è quella di impedire a un’azienda europea di costruire una fabbrica di pannelli fotovoltaici o di batterie negli Stati Uniti, ma di garantire che analoghi impianti vengano costruiti anche in Europa.

È il momento cioè di passare anche noi da una strategia “buy” a una strategia “make” e per questo servono un’attitudine strategica alla politica industriale in Italia e in Europa anche attraverso nuove risorse centralizzate e la costituzione di un nuovo fondo di sovranità europeo dedicato. Dobbiamo tuttavia evitare che gli investimenti strategici promossi dagli Stati, come ad es. l’IRA, diventino l’occasione per innescare una guerra dei sussidi a somma zero. Al contrario, vanno valorizzati gli effetti associati ai policy spillovers specie nel campo della produzione di nuova conoscenza tecnologica. Sono, queste, le ricadute in aree geografiche diverse da quelle dove viene implementata la politica. Per massimizzare i ritorni serve coordinamento delle politiche e ottimizzazione degli sforzi di collaborazione scientifica e tecnologica. Se si va in questa direzione il gioco si trasforma a somma positiva perché possono predominare gli effetti di complementarità tra le politiche. La Sovranità Tecnologica si sviluppa anche e soprattutto attraverso attività di cooperazione di lungo periodo con partner affidabili anche al di fuori dell’Europa. Partner che condividono un sistema valoriale comune e che hanno le competenze complementari rilevanti nelle tecnologie identificate come fondamentali. In chiusura, e per quanto ci riguarda, è solamente mettendo seriamente insieme le migliori forze che l’Italia potrà tornare su un sentiero di crescita economica forte, duratura, sostenibile e diffusa.

 

 

 

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