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La Global Italy del governo Meloni secondo Pelanda

“Ciò che va notato dopo i viaggi di Giorgia Meloni è che l’Italia possiede una struttura istituzionale e diplomatica con una capacità di penetrazione commerciale ed economica molto più forte di quello che si pensava”. La Via della Seta? “Il memorandum con la Cina non verrà rinnovato”. Il bilaterale Italia-Usa? “Dovrà concentrarsi su quello di cui gli Stati Uniti hanno più bisogno, ovvero una convergenza militare molto superiore a quella che c’è”. Conversazione con il professore di economia e geopolitica Carlo Pelanda

Indopacifico, Golfo, Medio Oriente, Usa. Giorgia Meloni sta progressivamente allargando il raggio d’azione del suo governo, certa di voler imprimere un nuovo ruolo all’Italia. Ciò che a Formiche.net osserva Carlo Pelanda, economista, accademico e uno degli analisti più attenti delle relazioni internazionali, è che dai viaggi in India ed Emirati emerge una consapevolezza: l’Italia possiede una struttura istituzionale e diplomatica con una capacità di penetrazione commerciale ed economica molto più forte di quello che si pensava. Per il futuro indica le nuove priorità: Australia, Nuova Zelanda e Sudamerica, in attesa del viaggio del premier alla casa Bianca.

La visita di Giorgia Meloni in India e negli Eau, sommata alla densità delle relazioni con Israele (Netanyahu è atteso a Roma il 9 marzo) può rappresentare un’alternativa alla Via della seta e anche un rafforzamento dell’asse euro-atlantico?

Quella in atto è una strategia molto ampia da parte del governo italiano che ha parecchi elementi di novità e la potremmo chiamare tra virgolette ‘Global Italy’. L’idea di base è quella di estendere le convergenze diplomatiche italiane a livello globale: il primo passo si è visto in Algeria e nei Paesi della costa sud del Mediterraneo per ovvi motivi di sicurezza energetica. La linea generale è quella di estendere a tutto il mondo i partenariati strategici di vario livello, alcuni molto profondi e altri più prettamente commerciali, al fine di mettere una bandierina in tutte le nazioni del pianeta.

Quale l’elemento di novità?

La Global Italy si snoda per motivi di supporto al nostro export, per motivi di rafforzamento dall’esterno della nostra posizione interna con l’Unione europea e combina il tutto con una forte convergenza con gli Stati Uniti e il Giappone. La direzione più interessante in questo momento è quella verso il Pacifico: sul punto osservo che lo sciagurato memorandum con la Cina non verrà rinnovato e verrà trovato un modo diplomatico per uscirne senza inasprire le relazioni. Più in generale la linea è quella di una postura coerente con il fatto che il G7 è in conflitto con la Cina. Per cui l’Italia partecipa alle azioni per comprimere l’influenza della Cina a livello globale: questo mi sembra abbastanza chiaro.

Con gli Emirati è stato ricucito lo strappo del governo Conte sulle armi?

La priorità era di chiarirsi e di fare una riparazione di tutte le incomprensioni precedenti, sia con l’India che con gli Emirati. Inoltre è stato steso un protocollo sul partenariato strategico, settore per settore: credo sia andata piuttosto bene. Osservo che l’apparato delle istituzioni italiane sta riuscendo a sostenere molto bene questa spinta della Global Italy. Non dimentichiamo che ogni incontro richiede preparazioni molto intense e il programma non si limita soltanto ai Paesi finora visitati, ma è molto più alto e lo vedremo in seguito. Ciò che va notato dopo questi viaggi è che l’Italia possiede una struttura istituzionale e diplomatica con una capacità di penetrazione commerciale ed economica molto più forte di quello che si pensava. Ho avuto la medesima sensazione nel lontanissimo 1993, quando lavorai agli esteri con Beniamino Andreatta: il mio iniziale scetticismo sulle capacità dei funzionari italiani venne in fretta sostituito dalla realtà dei fatti. Con le capacità che abbiamo dovremmo solo essere un po’ più estroversi. Penso all’Unione europea, a cui dobbiamo dare la massima attenzione perché è vicina. Però per noi l’Unione europea è solo uno degli alleati non un alleato principale.

È incoraggiante il fatto che le visite siano state strutturate, ovvero assieme al premier ci sono stati il ministro degli Esteri, il numero uno dell’Eni e una delegazione di imprenditori?

Sì. La novità non è tanto nella bontà della nostra burocrazia imperiale, ma nel fatto che ci sia un attore politico italiano convinto che la politica estera vada fatta in autonomia non a livello di unilateralismo, perché queste mosse sono concordate con gli Stati Uniti e con il Giappone, ma diversamente dai Governi precedenti che erano troppo appiattiti sull’Europa. Indica una volontà sul piano tecnico, lo dico con una battuta, di bilanciare il poco spazio fiscale della Repubblica italiana con una maggiore capacità di fare business all’estero.

Dove andrà rafforzata la mappa internazionale del premier, che va dall’indopacifico al golfo, passando per il Medio Oriente, in attesa della visita di Giorgia Meloni negli Usa?

Indico come priorità l’Australia. Ricordo anni fa delle conversazioni con l’ambasciatore australiano in Italia che si rammaricava del fatto che il potenziale business bilaterale fosse molto maggiore di quello in atto. L’Australia è un Paese chiave per prendere posizione nel Pacifico: si tratta di un passo che permetterebbe anche di avere consultazioni più fitte con Giappone e India. In questa proiezione aggiungerei anche la Nuova Zelanda che ha tante similarità con l’Italia e in qualche modo presenta opportunità di relazione. Non dimenticherei il rafforzamento della presenza italiana nell’Asia centrale, perché quello diventerà un terreno di competizione commerciale ed economica con la Cina molto forte. In questo senso sarebbe utile stringere un partenariato strategico con la Mongolia accanto ad un lavoro da strutturare nel continente africano: sarebbe utile mettere sotto la lente di ingrandimento il Sudafrica, ma farlo con molta prudenza anche perché la penetrazione in quelle aree potrebbe essere molto costosa. Ogni accordo che si raggiunge con una nazione africana prevede un do ut des, per questa ragione è importante capire prima qual è il modello di business da seguire. Ma non è tutto.

Ovvero?

Penso al Sudamerica, che è un quadrante interessante ma al contempo delicato, che va tenuto sotto osservazione. Sarebbe utile attenzionarlo assieme all’Ue e capire come impostare un trattato di libero scambio. Con gli Stati Uniti resta sempre aperto il problema del trattato commerciale: non c’è in questo momento il consenso, a causa del protezionismo che c’è a sinistra e a destra, per realizzare un accordo di libero scambio come quello datato 2013 con l’amministrazione Obama. Ma si potrebbe utilizzare anche in questo caso l’Ue, in particolare la Germania che sta tentando disperatamente di convergere con l’Unione europea per cercare di avere la giusta pressione. Infine il bilaterale Italia-Usa: dovrà concentrarsi su quello di cui gli Stati Uniti hanno più bisogno, ovvero una convergenza militare molto superiore a quella che c’è. Credo che la cosa meriti un capitolo a parte e dovrebbe far valutare all’Italia quanti ingaggi di sicurezza potrà avere nel pianeta. Da questo passaggio dipenderà la postura americana nei confronti dell’espansione autonoma dell’Italia.

@FDepalo

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