Il crack della banca nata per finanziare le start up è figlio di un vizio, quello della vendita di prodotti poco resilienti alla variazione dei tassi, insito in tante altre istituzioni finanziarie, come assicurazioni e fondi pensione. Per questo tutte le economie avanzate dovrebbero tenersi pronte. Meno male che intanto le borse respirano
Il giorno dopo la grande paura è tempo di prendere fiato. Il caso della Silicon valley bank è tutt’altro che rientrato, le scosse di assestamento si fanno ancora sentire e le orecchie dei mercati rimangono tese, pronte a intercettare nuovi scricchiolii. Piazza Affari ha rimbalzato, dopo le perdite pesanti delle scorse ore e lo stesso vale per la Borsa di Francoforte. Ora si attende la reazione delle Banche centrali, non ancora sul banco degli imputati, ma quasi, se non altro perché l’aumento dei tassi da parte della Fed ha innescato la miccia che ha portato all’esplosione di Svb (qui l’intervista all’analista Wolfram Mrowetz).
GLI OCCHI DI MOODY’S
Giovedì toccherà alla Bce, che sembra intenzionata a rialzare ulteriormente i tassi di interesse di 50 punti, nonostante il terremoto ancora in atto e il ruolo della stretta monetaria della Fed nel crack di Svb. Che la situazione sia ancora non pienamente domata, lo dimostra anche la discesa in campo del colosso del rating Moody’s, che secondo alcune indiscrezioni riportate da Bloomberg, avrebbe messo sotto osservazione First Republic Bank e altri cinque istituti di credito statunitensi, in attesa di un declassamento che pare scontato. Una mossa che, nonostante le rassicurazioni di Joe Biden, dà la cifra della preoccupazione che si respira circa la tenuta delle banche regionali e di piccole e medie dimensioni, le più esposte.
COLPA DEI TASSI
La domanda però, a questo punto, è: Svb è un caso isolato? Secondo gli esperti dell’Atlantic Council, non proprio. “L’economia statunitense potrebbe avere ancora qualche trimestre prima che i tassi di interesse più elevati alla fine mettano un freno all’attività economica. Lo stesso non si può dire del settore finanziario, che la scorsa settimana (venerdì 10 marzo, ndr) ha registrato il primo grande fallimento bancario in oltre dieci anni. Quasi esattamente un anno dopo che il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell ha annunciato il primo rialzo dei tassi”, è la premessa.
“La banca deteneva un ampio portafoglio di obbligazioni a lungo termine che avevano perso valore di mercato con l’aumento dei tassi di interesse nell’ultimo anno. Quando è iniziata a diffondersi la voce sulla sua debole situazione finanziaria, non disponeva di liquidità a breve termine sufficiente per soddisfare le richieste di prelievo di depositi da parte dei clienti. La banca è stata quindi costretta a vendere i suoi asset e realizzare le sue perdite, il che alla fine ha portato le autorità di regolamentazione a intervenire”, spiegano dall’Atlantic Council.
BANCHE PICCOLE, GROSSI GUAI
Ora, con l’inasprimento della Fed ancora in pieno svolgimento, “è ovvio che Svb, la sedicesima banca statunitense con 209 miliardi di dollari di attività alla fine del 2022, non sia l’unica banca o istituto finanziario a sperimentare problemi di questo tipo. Il sistema finanziario americano è esposto a un rischio di 620 miliardi di dollari a causa di perdite di valore nei portafogli obbligazionari. Gran parte di questo può essere distribuito tra istituti finanziari più piccoli, ma resta da vedere come le altre banche siano in grado di far fronte alle perdite di valutazione nei loro bilanci”.
Insomma, guardia alta. Perché sì, i guai potrebbero non essere finiti qui. “L’episodio di Svb è probabilmente foriero di una maggiore volatilità del mercato poiché la Federal Reserve continua a inasprire la politica monetaria, anche in assenza di una vera e propria recessione. La crisi del 2008 (apertasi con un crack bancario, quello di Lehman Brothers, ha fornito alle autorità di regolamentazione lezioni importanti, ma la fine di un periodo decennale di tassi di interesse estremamente bassi comporta chiaramente significative perturbazioni, anche nel settore finanziario non bancario”.
UN AFFARE (NON) SOLO AMERICANO
Un modo per dire che “i rischi non sono limitati agli Stati Uniti, ovviamente. L’Europa sta attraversando il proprio ciclo di inasprimento, con la Banca centrale europea intrappolata tra un’inflazione ostinata e alcuni Paesi membri dell’area dell’euro altamente indebitati. La Cina è alle prese con una crescita lenta e una crisi immobiliare, i mercati emergenti sono messi a dura prova da un dollaro forte, le restrizioni al commercio globale sono in aumento, così come le tensioni geopolitiche con Cina e Russia. Criptovalute e cyber risk hanno introdotto un ulteriore elemento di incertezza e possibile contagio, come ha dimostrato l’evento Svb. In questo ambiente instabile, potrebbe volerci meno di uno shock delle dimensioni di Lehman Brothers per causare gravi perturbazioni finanziarie ed economiche. È meglio che i governi e le banche centrali di tutto il mondo siano preparati”.
Non è finita. I prodotti poco liquidi che hanno portato al default di Svb (venduti proprio per raschiare margini anche con tassi a zero) “sono stati ampiamente distribuiti da banche e istituzioni finanziarie non bancarie come fondi pensione, compagnie assicurative e fondi di investimento. Di conseguenza, anche questi rischi per la stabilità finanziaria devono essere affrontati”.
EFFETTO DOMINO?
In conclusione, anche se il contagio figlio dei fallimenti di Svb, Silvergate Financial e Signature Bank possono essere contenuti, “i rischi per la stabilità finanziaria degli Stati Uniti, e del mondo, sono aumentati in modo significativo. La Fed non può più permettersi il lusso di concentrarsi solo sulla riduzione dell’inflazione. Deve anche evitare di esacerbare i rischi per la stabilità. Allo stesso tempo, la vigilanza dovrebbe lavorare con il Congresso per riformare e rafforzare il quadro normativo finanziario date le evidenti debolezze rivelate. Un esercizio difficile, ma che deve essere fatto”.