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I fondi pensione inglesi sposano la causa Esg, a tutti i costi

Universities Superannuation Scheme, il maggior fondo pensione inglese, ha deciso di di cambiare linee-guida e di respingere, nei voti alle assemblee, gli amministratori delle società quotate il cui profilo e il cui comportamento non verranno ritenuti in linea con i postulati del fondo soprattutto sul versante della transizione energetica

Lo Universities Superannuation Scheme (Uss), ossia il principale fondo pensione britannico con circa £60 miliardi di attivi in gestione (fonte: UK Parliament), ha presentato in questi giorni le novità nelle linee guida che orientano le proprie modalità di voto nelle assemblee delle società quotate nel Regno e altrove.

In particolare, si evidenzia che ad essere soggetti allo scrutinio non saranno più soltanto i bilanci o le politiche in materia ambientale o di remunerazione, bensì gli stessi amministratori il cui profilo e il cui comportamento non verranno ritenuti in linea con i postulati del fondo soprattutto sul versante della transizione energetica.

Si tratta di un approccio personalistico che fa compiere a chi gestisce le pensioni del personale, accademico e non, delle università britanniche un deciso salto di qualità per quanto riguarda sia, in generale, l’incisività dell’azione di controllo sui propri investimenti sia, più in particolare, il modo di presidiare le tematiche ambientali, sociali e di governance (Esg) poste a fondamento delle proprie strategie di investimento.

Sebbene Uss – che, ricordiamo, assieme al fondo pensione di British Telecom contribuisce a tenere in mani britanniche poco meno di un terzo di Thames Water – sottolinei di aver votato nel 2022 a favore di una delibera assembleare di Shell che fissava addirittura target intermedi di riduzione delle emissioni rispetto a quelli di più lunga durata, il Financial Times non ha mancato di rilevare che Uss che Border to Coast, un pool di fondi pensione dei dipendenti pubblici locali, si appresterebbero a votare contro gli amministratori di Shell alla prossima assemblea proprio per motivi legati al cambiamento climatico.

Ipotizzando che le scelte di Uss e BtC producano un effetto traino sugli altri operatori pensionistici minori e che a loro volta i soggetti che ne gestiscono gli attivi si allineino ai loro desiderata, si può ragionevolmente concludere che il mondo dell’asset ownership del Regno Unito mostri una certa compattezza nel condizionare le decisioni manageriali nel senso della ricezione delle tematiche Esg piuttosto che del respingimento.

Ancora più significativo e curioso è il fatto che a guidare questo movimento sia l’Inghilterra profonda e non la cosmopolita città-stato londinese, posto che i circa £ 130 miliardi di asset complessivi di Uss e BtC vengono gestiti, rispettivamente, da Liverpool e da Leeds, ossia dal cuore dell’ex Impero che ne custodisce i sentimenti più profondi, in particolare quelli espressi dal ceto medio e operaio. Per inciso, anche il fondo pensione di BT ha sede a Sunderland, così come Railpen, il fondo pensione dei ferrovieri, affianca alla sede di Londra quelle di Coventry e Darlington.

Si assiste così ad una divaricazione tra l’atteggiamento dell’America profonda, sempre più orientata ad esprimere posizioni ostili ai nuovi principi sensibili al cambiamento climatico, e quello viceversa dell’Inghilterra profonda, che invece, forse memore di quando era essa a guidare le sorti del globo, non può non far propri alcuni messaggi universalistici che accompagnino la propria proiezione ben oltre le acque che circondano l’isola.

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