Alla sinistra, oltre agli occhi per piangere, è rimasto solo un po’ di nostalgia antifascista da sbandierare quando si presenta l’occasione. Giorgia Meloni giochi di anticipo…
“Dagli amici mi guardi Iddio che dai nemici mi guardo io’’. È un pensiero, questo, che deve attraversare spesso la mente di Giorgia Meloni.
In particolare, le deve essere successo nella serata di ieri al ritorno dalla sua missione in India e dagli Emirati. Per sua fortuna in conferenza stampa le erano state fatte domande solo sulla tragedia di Cutro, mentre anche i giornalisti al seguito avevano dimenticato (o sottovalutato) il fatto che si sarebbe svolta, più o meno nelle stesse ore, una manifestazione “antifascista” a Firenze, con la partecipazione di quasi tutti i partiti di opposizione e le forze politiche e sindacali della sinistra: oves et bove set omnia pecora campi.
È stata la prima iniziativa di quest’ampiezza da quando ha iniziato ad operare il governo Meloni, a parte forse lo sciopero generale di Cgil e Uil contro la manovra di bilancio. Ricordiamo tutti, invece, che alla manifestazione del Pd del 17 dicembre erano presenti più bandiere che manifestanti. I motivi della giornata di protesta fiorentina prendono le mosse da un evento (e dalle reazioni che ne sono seguite) che ha avuto il suo spazio sui media, perché c’erano le condizioni per fare cagnara in politica.
Sabato 18 febbraio – hanno raccontato le cronache -, davanti al liceo Michelangiolo di Firenze, due studenti sono stati colpiti da sei ragazzi di Azione studentesca esterni alla scuola. “È ormai evidente che il pestaggio di alcuni studenti” è “stata una tipica azione squadrista e fascista”, hanno detto il giorno dopo i senatori toscani del Pd Silvio Franceschelli, Dario Parrini e Ylenia Zambito. Su quanto avvenuto la Digos di Firenze – hanno proseguito le agenzie – sta portando avanti le indagini, basate anche sui video circolati e le testimonianze delle persone presenti. La procura di Firenze ha aperto un fascicolo in cui si ipotizza il reato di violenza privata aggravata. Fino a qui, ordinaria amministrazione. Alla Camera vengono presentate interrogazioni da deputati di FdI e del Pd per richiamare l’attenzione del governo e chiedere una versione ufficiale dei fatti. Mentre a Firenze si svolgevano iniziative di protesta da parte di comunità studentesche, è scoppiato il casus belli che ha di nuovo alimentato le polemiche. Il 21 febbraio, la preside del liceo scientifico Leonardo Da Vinci di Firenze Annalisa Savino ha scritto una lettera aperta sul caso a studenti, genitori e personale Ata della scuola che dirige: “Il fascismo in Italia non è nato con le grandi adunate da migliaia di persone. È nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a se stessa da passanti indifferenti. ’Odio gli indifferenti’ – aggiungeva la dirigente scolastica – diceva un grande italiano, Antonio Gramsci, che i fascisti chiusero in carcere fino alla morte, impauriti come conigli dalla forza delle sue idee”.
Il tono della lettera denotava una certa abilità, nel senso che costituiva un atto d’accusa per l’indifferenza di chi passava di lì durante quella rissa, senza proferire accuse esplicite di squadrismo fascista nei confronti dei giovani di destra. Ma l’iniziativa ha riaperto il caso grazie ad un’eco nazionale, stimolando l’intervento ex cathedra del ministro dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara, uno dei membri più “autoparlanti’’ (copyright di Salvatore Merlo) dell’esecutivo. “È una lettera del tutto impropria mi è dispiaciuto leggerla – ha reagito Valditara -, non compete a una preside lanciare messaggi di questo tipo e il contenuto non ha nulla a che vedere con la realtà: in Italia non c’è alcuna deriva violenta e autoritaria, non c’è alcun pericolo fascista, difendere le frontiere non ha nulla a che vedere con il fascismo o con il nazismo”.
Il ministro ha poi parlato di possibili interventi contro la preside: “Sono iniziative strumentali che esprimono una politicizzazione che auspico che non abbia più posto nelle scuole; se l’atteggiamento dovesse persistere vedremo se sarà necessario prendere misure”. E poi ha aggiunto: “Di queste lettere non so che farmene, sono lettere ridicole, pensare che ci sia un rischio fascista è ridicolo. Trovo ci sia sempre più un attacco alla libertà di opinione e un alzare i toni trasformando la polemica in una campagna di odio, delegittimazione e falsificazione talvolta della realtà. Chiedo ai partiti dell’opposizione maggiore responsabilità. E intanto mi aspetto solidarietà anche dalla preside che ha scritto la missiva”, in riferimento alle minacce ricevute dal ministro stesso sui social e su cui sta indagando la Digos.
In sostanza, il ministro – oltre a ridimensionare la portata di un evento come l’aggressione del 18 febbraio, sul quale avrebbe dovuto impegnarsi a fare luce – è stato accusato di prevaricare l’espressione di una opinione e di minacciare di provvedimenti disciplinari la dirigente scolastica che l’aveva espressa, trasformandola di conseguenza in una eroina della resistenza, che viene sommersa di attestati di solidarietà, tanto che il suo caso è entrato a far parte dei motivi della manifestazione di ieri, che è divenuta – anche a fronte dell’incontro dei nuovi libertadores Elly Schlein, Giuseppe Conte e Maurizio Landini (per citare solo gli esponenti più importanti), il segnale della rinascita della sinistra unita, grazie all’elettroshock del Congresso Pd.
Penso che Giorgia Meloni dovrebbe far notare a Giuseppe Valditara che un ministro non può sempre dire ciò che pensa (perché deve tenere conto di ragioni di opportunità istituzionale), ma deve prestare sempre molta attenzione a ciò che dice. Soprattutto in un momento in cui alla sinistra, oltre agli occhi per piangere, è rimasto solo un po’ di nostalgia antifascista da sbandierare quando si presenta l’occasione.
Che senso ha avuto, dunque, fornir loro un pretesto così succulento: un ministro che richiama una preside che si è permessa di evocare la minaccia del fascismo? E che in risposta ha ricevuto una manifestazione di carattere nazionale? In campagna elettorale, pregustando la vittoria, Meloni affermò che se qualcuno si fosse permesso di fare il saluto romano, si sarebbe trovato con un braccio amputato, per il semplice fatto che il suo gesto sarebbe giovato soltanto ai suoi avversari. È una direttiva tuttora opportuna. Valditara, poi, deve mettere in conto un numero imprecisato di autodafé antifascisti che gli verranno – a bella posta – dal mondo della scuola.
Giochi d’anticipo emanando una circolare a tutti gli istituti con l’invito ad esporre il 25 aprile il tricolore. Vedrà che ci saranno dei presidi e dei direttori didattici che non lo faranno perché lei lo ha ordinato – diranno – in modo strumentale. A quel punto però si faranno ancora una volta riconoscere per quello che sono davvero.