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Mentre il Papa rompe il tabù delle dimissioni, come sarebbe oggi il Conclave?

Se Francesco prima o poi si dimetterà per motivi di salute e a prescindere da questa evenienza, come sarà il futuro Conclave? Il tema della rinuncia riappare anche nelle dichiarazioni del pontefice a 10 anni dalla sua elezione. I cardinali di santa romana Chiesa sono 223, di cui 125 hanno un’età al di sotto degli 80 e quindi (a oggi) elettori. I nominati da Francesco sono 81, tutti bergogliani? Il commento di Carlo Marroni, giornalista de Il Sole 24 Ore

Il 13 marzo cade il decimo anniversario dell’elezione di Papa Francesco, e a ricordarlo sarà solo la messa che il pontefice celebra la mattina a Santa Marta, alla quale per l’occasione sono stati invitati i cardinali che vivono a Roma. In un’intervista alla radio svizzera, il Papa ha detto che non pensa alle dimissioni, ma “una stanchezza che non ti fa vedere chiaramente le cose, la mancanza di chiarezza, di sapere valutare le situazioni” lo spingerebbe a darle, e “anche il problema fisico, può darsi”.

In questa ricorrenza, e per capire come sarebbe un Conclave con gli attuali cardinali, pubblichiamo l’articolo di Carlo Marroni apparso sulla rivista “Formiche” di febbraio 2023.

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Dopo quasi dieci anni dall’elezione – 13 marzo 2013 – il pontificato di Francesco è entrato in una vera fase due. La convivenza con Benedetto, scomparso il 31 dicembre, è stata apparentemente priva di crisi, in realtà di problemi ce ne sono stati di continuo, come emerge dalle memorie del suo segretario e dalle ricostruzioni che via via si perfezionano. Non solo.

Benedetto sembra aver seminato il terreno di mine pronte a esplodere, con un libro postumo ricco di attacchi fino ad oggi sconosciuti. E poi i cardinali a lui rimasti fedeli si stanno dando da fare, parlano di catastrofi (il dossier del cardinale australiano ultraconservatore George Pell, anche lui scomparso, scritto sotto lo pseudonimo Demos) cerchi magici e altro.

Due sono le questioni sul tavolo ora: se Francesco prima o poi si dimetterà per motivi di salute e a prescindere da questo, come sarà il futuro Conclave. Partiamo dal primo punto. Il tema della rinuncia non è più un tabù, si entra quasi nella normalità ma andrà certamente codificato. Bergoglio lo ha detto, criticando indirettamente (ma neppure troppo) la scelta di Ratzinger di chiamarsi “papa emerito” e abitare in Vaticano: “Sarei vescovo di Roma emerito e non abiterei in Vaticano” ha detto mesi fa tagliando corto, e questo senza provocare terremoti.

Si vede che gli attacchi, da entrambe le parti, erano diventati un po’ la normalità. Ma c’è un problema: se la rinuncia diventa prassi allora sarà difficile immaginare poi nel futuro che i papi rimangano fino alla morte fisica. Perché non si dimette? Sarà la domanda dopo pochi anni. E quindi ogni mossa, a partire dalle nomine dei cardinali, sarebbe letta come una volontà di condizionare il futuro conclave in modo strumentale. Veniamo al sacro collegio.

Anzitutto una premessa: il suo unico scopo è quello di essere un collegio elettorale. Non ha altre funzioni collegiali, se non mischiate ad altre, come i Sinodi e i Concistori. I cardinali di santa romana Chiesa oggi sono 223, di cui 125 hanno un’età al di sotto degli 80 e quindi – sempre ad oggi, cosa naturalmente destinata a cambiare – entrerebbero nella Cappella Sistina per eleggere il nuovo Papa.

Le divisioni geografiche non hanno molto senso per stabilire una “forza elettorale”, ma servono certamente per orientarsi. Il gruppo più numeroso è rappresentato dagli europei, di cui gli italiani sono quello più folto in senso assoluto: ben diciotto (ma sono scesi parecchio negli ultimi anni), un numero che tuttora stride se si pensa che l’intera Africa ha quindici cardinali. Seguono gli Usa con dieci, il Brasile con sei e l’India con cinque.

Queste cifre, come detto, in realtà non significano molto: gli italiani per esempio non votano necessariamente un italiano. Del sacro collegio “elettorale” di 125, quelli nominati da Francesco sono 81, di cui – secondo stime fatte da osservatori attenti – due terzi circa li conosce direttamente, mentre per il restante terzo ha accolto suggerimenti vari. Sono bergogliani? Perlopiù sono di certo sensibili alla sua linea, ma non tutti sono dei fedelissimi.

Questi ultimi sono soprattutto due: il maltese Mario Grech, segretario generale del Sinodo, e il lussemburghese Jean-Claude Hollerich, gesuita, presidente della conferenza europea dei vescovi. Figure forti, certamente, ma non in grado di polarizzare consensi trasversali. Chi sono allora i nomi forti, sulla carta, oggi? Un vasto consenso lo raccoglie il segretario di Stato, Pietro Parolin, diplomatico di carriera, stimato in ogni cancelleria del mondo ma anche da una vasta base del clero per il suo equilibrio e serietà.

Misurato nei toni, rappresenta il prodotto migliore di una diplomazia che, in tempi di esposizione mediatica, non sempre risulta efficace. Ma è conosciuto più o meno da tutti, e questo non è sempre scontato. Un altro nome è Antonio Taglie, filippino, già cardinale di Manila e dal 2019 alla guida del dicastero delle Missioni, il che lo ha fatto conoscere ai quattro angoli delle periferie.

Ha un profilo molto mediatico, ma forse ha due elementi ostativi: è giudicato troppo giovane, 65 anni, e la Caritas internationalis, di cui è stato presidente a lungo, è stata di recente commissariata dal Papa. Lui non ha problemi né di soldi né di relazioni intime, ma certamente la sua gestione non sarà portata ad esempio. Eppoi il cardinale di Bologna Matteo Zuppi, 67 anni, da meno di un anno alla presidenza della Conferenza episcopale italiana.

Ancora non è molto conosciuto all’estero, ma può contare sulla vasta rete della comunità di Sant’Egidio, dalle cui file proviene, che ha forti radicamenti in Africa e altre zone del sud del mondo. Due italiani e un asiatico quindi. Figure forti ci sono anche negli Stati Uniti, soprattutto il cardinale di Chicago Blase Cupich, in linea con Francesco e non con l’episcopato di destra americano. Ma – e questa è l’opinione ancora prevalente – la Chiesa non è pronta per un Papa Made in Usa. Punto.

Così come i tempi non sarebbero ancora maturi per il ritorno di un europeo e tantomeno per un altro latino-americano. Quindi, seguendo questo filo di ragionamento, sarebbe la volta dell’Asia o dell’Africa. La Chiesa del continente africano, in forte crescita, è giudicata non ancora pronta per oggettivi problemi di stabilità e radicamento, mentre l’asiatica ha radici più profonde.

Ma sono tutte speculazioni fatte nel fermo immagine di oggi e secondo i parametri attuali, destinati a mutare nel tempo e nel prosieguo del pontificato. Chi si sceglierà? La questione che forse sarà analizzata con maggiore attenzione al momento del voto, quando sarà, è se il candidato è esente da qualsiasi potenziale macchia sul tema degli abusi (o anche della gestione del denaro, ma è molto meno pericolosa), perché basta un tweet lanciato dopo l’habemus papam e l’affaccio del nuovo pontefice a gettare scompiglio. Perché dopo tanti scandali è ormai difficile difendersi dalle accuse infondate e infamanti

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