Mentre è entrata nel vivo la visita in Kenya del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è utile riflettere su come interloquire con Paesi che nutrono speranze di collaborazione e che, al contempo, sono attraversati da una serie di eventi, esterni e interni, che ne determinano gli scenari futuri. Conversazione con la ricercatrice dello Iai
“Se si ascoltano le autorità del Paese, la Wagner è arrivata in Repubblica Centrafricana nel 2019, per rispondere a un vuoto, in sostanza, ad una mancanza di aiuto da parte della Francia”, dice a Formiche.net Francesca Caruso, ricercatrice nel programma Mediterraneo, Medio Oriente e Africa dello IAI. Ovvero la brigata è stata invocata a Bangui, capitale del Paese, dal Presidente Touadéra, che sentiva la minaccia di gruppi armati. Il riferimento, secondo Caruso, è al tentativo di prendere il potere da parte di sette gruppi armati che sono usciti dall’accordo di pace nel dicembre 2021 alla vigilia delle elezioni presidenziali e legislative. Il 13 gennaio 2022 questi gruppi erano arrivati alle porte di Bangui, capitale del Paese.
Repubblica centrafricana
“Da una parte – osserva – senza dubbio la Wagner in Centrafrica ha aiutato il governo a non subire un colpo di Stato. Questo non è un elemento da sottovalutare, dal momento che si tratta di un Paese che ha subito colpi di Stato e guerre civili per decenni. E in seguito la Wagner ha aiutato il governo centrafricano a respingere la minaccia dei gruppi armati nella capitale e spostarli nelle periferie del Paese. Ciò detto, il sostegno di Wagner va inteso in un quadro militare in cui il governo centrafricano gode del sostegno dei caschi blu dell’ONU (MINUSCA), military ruandesi e EUTM europeo, che però l’Europa ha deciso di sospendere l’anno scorso proprio a causa della potenziale vicinanza tra la WAGNER e le forze di sicurezza locali”. Tuttavia, va tenuto in considerazione che sono emergerse grosse critiche nell’operato della Wagner sia da un punto di vista del suo modus operandi, soprattutto nei confronti della popolazione civile, sia riguardo ai vantaggi che ottiene in loco, come lo sfruttamento di risorse naturali. Di fatto, l’accordo tra il governo e la Wagner è sconosciuto.
La sua osservazione punta sul fatto che se da una parte la brigata può in Centrafrica aver risposto parzialmente a una minaccia securitaria dei gruppi armati, tuttavia non ha assolutamente eliminato questa minaccia, perché il governo si è appoggiato su un sostegno puramente militare che non ha comunque fornito una risposta politica al Paese: la minaccia dei gruppi armati resta
Destrutturazione sociale
Quanto l’influenza di Wagner nel Centrafrica, in modo particolare nel Sahel, sta contribuendo a un’ulteriore destrutturazione sociale che produce anche pressioni su Libia e Tunisia, che si trasformano non solo in flussi migratori, ma anche in ulteriore destabilizzazione? “C’è una distinzione da fare sulle ripercussioni a livello migratorio tra il Centrafrica e i Paesi del Sahel: il Centrafrica, nonostante sia un Paese estremamente problematico quanto a sviluppo, stabilità politica e sicurezza, non ha un flusso di migranti diretto verso l’Europa al momento. Quindi direi che la presenza della Wagner, da questo punto di vista, in Centrafrica non ha un impatto. In prospettiva – aggiunge – potrebbe contribuire a creare delle frizioni fra popolazioni di diverse etnie. L’elemento interessante è che anche prima di Wagner il Paese era estremamente instabile e si erano manifestati grossi flussi migratori non verso l’Europa, ma verso i Paesi limitrofi”.
E aggiunge che nel Sahel la presenza della Wagner sembrerebbe essere diversa: “In Mali invece sembrerebbero avere molte difficoltà per rispondere alla minaccia jihadista. Ciò potrebbe essere problematico dal momento che oggi il governo del Mali, come altri della regione (vedi il Burkina Faso) sono alla ricerca di partner che possano rispondere in maniera efficace alle minacce che riguardano la sicurezza senza rimettere in discussione la loro sovranità statale. Il nesso tra Wagner e flussi migratori al momento non è chiaro”.
Kenya
Intanto mentre il presidente kenyota William Ruto auspica che la visita del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, “susciti maggiore interesse in questo grande progetto pieno di opportunità”, si apre uno spazio, anche culturale, nei tavoli di ragionamento sull’Africa. Ovvero come interloquire con Paesi che nutrono speranze di collaborazione e che, al contempo, sono attraversati da una serie di eventi, esterni e interni, che ne determinano gli scenari futuri. Non solo Kenya, dunque, dal momento che anche Ciad, Niger, Sudan e più in generale l’intera fascia centrafricana è un quadrante da attenzionare particolarmente, lì dove l’intromissione di soggetti esterni è un elemento oggettivo.
“Kenya e Italia daranno priorità alla rimozione delle barriere non tariffarie per aumentare il commercio e gli investimenti – ha osservato il presidente kenyota ricevendo Mattarella – In particolare, avvieremo i negoziati su un accordo per porre fine alla doppia tassazione. Questo stimolerà gli investimenti delle imprese italiane in Kenya, migliorerà la bilancia commerciale tra i nostri Paesi e creerà maggiori opportunità economiche per la nostra gente”. Quindi ha aggiunto: “Il Kenya apprezza l’interesse dimostrato dagli investitori italiani per Konza Technopolis, dove si sono già insediate diverse imprese italiane. Speriamo che questa visita susciti più interesse da parte degli investitori in questo grande progetto pieno di opportunità”. Si tratta di un hub tecnologico a sud-est di Nairobi che punta a contribuire all’obiettivo che il Kenya si è posto di qui al 2030, ovvero raggiungere lo status di Paese a reddito medio.
@FDepalo