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Cosa racconta la doppia visita Usa-Cina in Etiopia

Il segretario di Stato statunitense è stato in visita in Etiopia e Niger. Negli incontri ha rimarcato il ruolo di Washington, interlocutore franco interessato anche al rispetto dei diritti per riaprire le relazioni con Addis Abeba. L’inviato di Pechino ha avuto un approccio più lasco sul tema, come da tradizione cinese

Il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, sta rientrando oggi da un viaggio in Africa con cui ha portato il peso politico-diplomatico statunitense in due Paesi chiave per la stabilità regionale e continentale. Una visita in Etiopia e in Niger che – nonostante fosse già programmata – arriva anche come bilanciamento davanti ai tentativi della Cina di spingere la propria Global Security Initiative e Global Development Initiative. Due piani con cui il leader Xi Jinping intende colmare i problemi di sviluppo e sicurezza che identifica creati da errori di fiducia e di governance globale.

Narrazioni e interessi

Negli stessi giorni in cui l’alto funzionario dell’amministrazione di Joe Biden era in Africa, ad Addis Abeba c’era anche l’inviato speciale cinese per gli affari del Corno d’Africa, Xue Bing, il quale dopo l’incontro con il primo ministro etiope, Abiy Ahmed, ha “ulteriormente affermato la disponibilità della Cina a collaborare con i Paesi della regione per contribuire allo sviluppo pacifico della regione e costruire una comunità Cina-Africa più stretta con un futuro condiviso, attuando le prospettive”.

Il virgolettato è dell’agenzia di stampa ufficiale Xinhua, che ha seguito Xue. Ancora: la Cina si oppone alla “competizione geopolitica da parte di forze esterne (e) non ha intenzione di riempire il cosiddetto vuoto o di creare blocchi esclusivi”. Sono messaggi chiari sulle volontà strategiche e sulla narrazione che Pechino intende abbinare alla proiezione dei propri interessi, in Africa come altrove. Per esempio in Medio Oriente, dove la comunicazione che ha accompagnato la firma dell’intesa tra Iran e Arabia Saudita, a Pechino, ha seguito una linea molto simile.

La competizione cinese

Contrariamente a quanto dichiarato, nei fatti la Cina promuove una competizione con l’Occidente. “In qualità di nazione socialista leader, la Cina promuove la civiltà e la cultura cinese, che sono del tutto incompatibili con le culture coloniali predatorie degli Stati Uniti e di altre nazioni occidentali”, spiegava mesi fa Guo Ke, dean della Scuola di giornalismo e comunicazione alla Shanghai International Studies University. Pechino promuove concetti come tolleranza, convivenza, scambi e mutuo apprendimento tra civiltà diverse, tutti adesso inseriti nella Global Civilization Iniziative proposta ufficialmente mercoledì 15 marzo durante il “Dialogue with World Political Parties High-level Meeting”.

Contemporaneamente cerca azioni concrete. Altro esempio: trovatasi senza alcun segno di progresso nell’iniziativa di riduzione del debito guidata dal G20, l’Etiopia, afflitta da problemi di liquidità (anche legati alla fase post-bellica nel Tigray), si sta rivolgendo direttamente alla Cina per trovare una via d’uscita ai suoi problemi di prestito. Il debito è stato infatti uno dei temi in discussione quando il ministro delle Finanze etiope, Ahmed Shide, ha guidato una delegazione di alto livello in Cina alla fine di febbraio. Shide ha incontrato il ministro delle Finanze cinese, Liu Kun, e Jin Zhongxia, governatore della People’s Bank of China, entrambi confermati nella squadra di governo del terzo, storico mandato di Xi.

Differenti approcci

La delegazione etiope ha avuto colloqui con le principali istituzioni finanziarie e di credito cinesi, tra cui la China Export-Import Bank of China, la Industrial and Commercial Bank of China (Icbc) e la China Development Bank (Cbd), ricevendo risposte rassicuranti anche se Pechino ha sensibilmente ridotti i finanziamenti in Africa in generale. A cominciare da quelli trainanti sulla Belt and Road Initiative, calati del 54% lo scorso anno, passando a 7,5 miliardi di dollari dai 16,5 miliardi del 2021, secondo un recente report del Green Finance and Development Centre, che fa parte della Fanhai International School of Finance della Fudan University di Shanghai.

Stando a uno studio del Global Development Policy Centre dell’Università di Boston, pur essendosi lasciata alle spalle gli anni più ambiziosi per quanto riguarda i finanziamenti allo sviluppo, la Cina ha continuato a concedere prestiti in modo più misurato, con una crescente preferenza per la fornitura di aiuti di alta qualità, mirati e “piccoli e belli”, come li aveva definiti Xi nel 2021. La selezione dei progetti sarà sempre più influenzata da considerazioni geopolitiche e geoeconomiche, poiché la Belt and Road dovrà affrontare la crescente concorrenza della Global Gateway dell’Ue e del Partenariato per le infrastrutture e gli investimenti globali di Washington.

Sicurezza alimentare e deconflicting

Durante il doppio soggiorno sino-americano ad Addis Abeba, sia Xue che Blinken hanno avuto riunioni – chiaramente separate – con il presidente della Commissione dell’Unione africana, Moussa Faki Mahamat, per discutere le priorità globali e regionali. L’americano intende dare seguito e credibilità concreta agli impegni del vertice dei leader Usa-Africa del dicembre scorso. E qui il ruolo strategico della presidenza del World Food Programme, affidato a inizio mese all’ambasciatrice Cindy McCain, diventa determinante per affrontare le questioni connesse alla sicurezza alimentare. Tema scombussolato dalla guerra russa in Ucraina e in Africa particolarmente sensibile anche per l’effetto pesante degli shock climatici, di vari conflitti interni e delle tensioni economiche globali.

Parlando alla stampa alla vigilia della visita di Blinken, l’assistente segretaria di Stato per gli Affari africani, Molly Phee, ha tuttavia dichiarato che una piena normalizzazione delle relazioni dipenderà da ulteriori azioni da parte di Addis Abeba per procedere con il deconflicting nella regione del Tigray – dove per due anni si è combattuta una guerra sanguinosa tra i ribelli tigrini e le truppe di Abiy Ahmed, con entrambe le formazioni macchiate di atrocità. “Quello che stiamo cercando di fare è rimodellare il nostro impegno con l’Etiopia”, ha detto Phee. “Vorremmo poter avere una partnership commisurata alle loro dimensioni e influenza e al nostro interesse e impegno per l’Africa. Ma per portare avanti questa relazione continueremo ad aver bisogno di passi da parte dell’Etiopia per aiutare a spezzare il ciclo di violenza etnica e politica che ha riportato indietro il Paese di così tanti decenni”.

Il peso dei diritti

Un messaggio sul differente genere di impegno che viene richiesto a Washington rispetto che a Pechino lo ha inviato in una nota Kate Hixon, direttrice dell’Africa Advocacy di Amnesty International Usa: “L’impegno degli Stati Uniti e della comunità internazionale rimane vitale ed è positivo vedere che il segretario dia la priorità all’Etiopia”, ma ha pressato sulla necessità che Washington pressi il governo etiope di fornire accesso agli attori umanitari e agli osservatori dei diritti umani in tutto il territorio per verificare i crimini commessi – anche dalle forze regolari. “In caso contrario, invierà un segnale agli autori di tutto il mondo che gli Stati Uniti non si batteranno per la giustizia”, ha detto Hixon.

Non c’è questo genere di pressing dietro alla Cina, che può portare avanti interlocuzioni e iniziative con maggiore leggerezza, dove secondo il principio di non interferenza si cerca di evitare argomenti sensibili e scomodi. Anzi: alla fine dello scorso anno, per esempio, gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno respinto la proposta di Addis Abeba di sospendere i finanziamenti alla Commissione internazionale di esperti sui diritti umani in Etiopia (Ichree), istituita per indagare sulle violazioni dei diritti umani perpetrate durante la guerra in Tigray e il conflitto in Oromia. L’Etiopia ha sempre chiesto che l’Ichree venisse disinnescato da quando la commissione è stata istituita dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (Unhcr) nel dicembre 2021, accusandola di politicizzare la questione dei diritti. Solo 32 Paesi membri hanno votato a favore della chiusura della commissione. Tra questi, la maggior parte dei Paesi africani, tra cui Kenya, Eritrea, Gibuti, Sudan e Somalia. Anche Cina e Russia hanno votato per eliminare la Commissione.


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