Gli istituti regionali hanno deciso di ridurre i propri portafogli, per limitare l’esposizione dei prodotti più rischiosi all’andamento dei tassi, deciso dalla Fed. Un errore costato il default alla Silicon Valley Bank. Ma occhio a una nuova fuga di depositi
Alzare gli scudi, prima che sia troppo tardi. Prima che, il virus che ha spedito knock out la Silicon Valley Bank e First Republic, colpisca di nuovo. Le banche americane, quelle più piccole, con le spalle meno grosse delle sorelle maggiori Jp Morgan e Morgan Stanley, hanno deciso di attrezzarsi, per schivare per tempo nuovi default. Mettendo in atto uno stratagemma molto semplice: ridurre progressivamente i propri portafogli, già di per sé poco diversificati e per questo ad alto rischio, così da ridurre il fianco da offrire alle strette monetarie della Federal Reserve.
Come noto, infatti, soprattutto Svb è saltata a causa del suo ingente ammontare di prodotti finanziari tarati su un costo del denaro basso o pari a zero, quando non negativo. Ora, nel momento in cui la Banca centrale americana ha deciso di alzare i tassi, ecco che tali titoli si sono improvvisamente deprezzati, trasformandosi in passività e innescando la corsa (emotivamente scatenata dai social) al ritiro dei depositi, prima che il tutto si trasformasse in carta straccia. Il che ha ovviamente spolpato l’istituto.
Per evitare tutto questo, le maggiori banche regionali statunitensi, quelle con attività tra i 50 e i 250 miliardi di dollari per intendersi, hanno ridotto la percentuale della loro esposizione in contanti a un ritmo del 7% dall’inizio del 2023. Riducendo così la quota di prodotti direttamente esposti ai tassi. In questo modo, si punta a evitare nuove onde d’urto, anche se a onor del vero, la stretta monetaria della Federal Reserve sembrerebbe essere ormai al capolinea.
Attenzione però, perché se da una parte si cerca di prevenire il danno, dall’altra non pochi analisti sono preoccupati dalla liquidità a disposizione delle suddette banche, insufficiente ad affrontare una possibile, nuova, fuga dei depositi. D’altronde, la stessa esiguità della liquidità ha reso le banche regionali, tra cui Svb, insolventi in poco meno di 24 ore. “La cassa disponibile era certamente un aspetto che gli investitori stavano osservando”, ha dichiarato Josh Rosner, analista bancario indipendente e amministratore delegato di Graham Fisher&Co.
Tutto questo mentre l’americana Charles Schwab Bank, decima banca Usa che fa parte dell’omonimo gruppo finanziario leader nel brokeraggio azionario, tiene i mercati col fiato sospeso. La ragione della tensione che si sta addensando sulla Charles Schwab Bank è semplice ed è dovuta sia alla fuga dai depositi che a perdite potenziali sui bond.
Dall’inizio di quest’anno la Charles Schwab Bank perde 20 miliardi di dollari al mese di depositi e accusa minusvalenze latenti sul portafoglio titoli che a fine 2022 ammontavano a 15 miliardi di dollari e che ora sarebbero salite a 20 miliardi, ossia a più del doppio del patrimonio che è di 7,9 miliardi. Non sorprende perciò che, di fronte a una situazione così critica, Charles Schwab Bank abbia perso in Borsa dall’inizio del mese di marzo più del 30%.
E tanto per fare un esempio, l’anno scorso le disponibilità liquide di Svb in rapporto alle attività totali sono scese da 22 miliardi di dollari, pari al 14%, a metà del 2021 a 12 miliardi di dollari, pari ad appena il 6%, all’inizio del 2023. Nello stesso periodo, il portafoglio obbligazionario è passato da 83 a 117 miliardi di dollari e i prestiti sono aumentati da 50 a 72 miliardi di dollari. E quando la Federal Reserve si è messa a combattere l’inflazione, per le banche più piccole è diventato tutto più difficile. Troppo.