Conversazione con il docente ed economista della Luiss. Un po’ di affaticamento sul Piano era da mettere in conto, d’altronde l’inflazione e la crisi energetica hanno sparigliato le carte. Ma se si vogliono mettere in sicurezza i miliardi destinati all’Italia, serve una maggiore convergenza, anche tra partiti. E lo stesso vale a livello europeo
Il Pnrr va condotto in porto, bonaccia o tempesta fa poca differenza. E il governo di Giorgia Meloni pilota una nave sufficientemente robusta da riuscirci. L’occhio dell’Europa è ben fisso sull’Italia e la sua agenda, la terza rata, quella chiesta da Roma a fine 2022, un assegno da 19 miliardi, è tutt’oggi congelata in attesa di nuove rassicurazioni circa investimenti e tempi di spesa.
L’ottimismo, come hanno fatto intendere sia il ministro per gli Affari Europei, Raffaele Fitto, sia il responsabile dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, c’è tutto, al pari della consapevolezza dello stesso esecutivo, della grande incertezza sui progetti legata all’aumento dei costi delle materie prime. Quello che manca, semmai, è una sana e salutare convergenza tra forze di governo e opposizione. E forse, fa capire il docente ed economista della Luiss, Matteo Caroli, sarebbe opportuno farci un pensierino.
“L’affaticamento che possiamo intravedere sul Pnrr è inevitabile, perché veniamo da anni complicatissimi a cominciare dalla crisi energetica, che ha costretto il governo a dare priorità alle famiglie e alle imprese”, premette Caroli. “Inoltre sappiamo bene come la burocrazia sia spesso un limite agli investimenti. Anche per questo motivo, unitamente a quanto detto poc’anzi, una qualche forma di rallentamento nell’attuazione del Pnrr era prevedibile. Detto questo, credo che il governo possa e debba adeguarsi a una maggiore rapidità e credo che possa farcela. Ci sono limiti in questo Paese che non si risolvono in uno o due anni ma che proprio lo stesso Pnrr può mettere in luce e quindi alla fine contribuire a risolvere. Non voglio dare giudizi politici, ma quello che davvero conta ora è la condivisione degli intenti, una condivisione di fondo che vada oltre le differenze tra partiti”.
Caroli tira in ballo anche il discorso della revisione di alcuni progetti legati al Pnrr, che l’esecutivo ha più volte paventato, quando non formalmente chiesto. “Credo che una revisione, invocata dall’esecutivo, sia stata opportuna, nel senso che penso che alcuni progetti vadano accantonati, per far posto ad altri”. Il docente sposta poi l’attenzione sul discorso della transizione energetica. E sulla risposta che l’Europa dovrà dare all’ondata di sussidi all’industria previsti dall’amministrazione di Joe Biden.
“Stavolta l’Ue deve fare sul serio, dare un vero impulso alla transizione, serve una spinta anche politica. E credo che un segnale in questo senso sia stata data. Ancora una volta, però, siamo dinnanzi a un’attuazione difficile, perché gli interessi sono tanti. E qui auspico non solo una convergenza a livello europeo, ma anche nazionale. Una convergenza sulla proposta comunitaria che non lasci il Continente in balìa di mercati ed economie che invece investono sulle proprie imprese. D’altronde non si può parlare di Europa se ognuno se ne va per la sua strada. L’attuazione della transizione deve tenere conto delle specificità locali, ma senza perdere di vista mai l’obiettivo. Lo stesso schema vale per l’Italia. Dove il governo, incontrando regolatori, imprese, parti sociali, deve elaborare una strategia che abbia seri obiettivi di competitività. Obiettivi comuni, per lo stesso ragionamento che facevo prima sul Pnrr”.
Non è finita. “Faccio notare come già oggi le stime ci dicono che il costo dell’energia negli Stati Uniti sarà di circa sette volte inferiore a quello dell’Europa. Mi pare abbastanza evidente che dinnanzi a un simile dato, occorra reagire”.