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La Cina corre (ma non troppo). La finanza avvisa Pechino

Nonostante gli utili in crescita, le relazioni dei bilanci delle grandi banche del Paese parlano chiaro. La crisi del mattone è ancora strisciante e fuori dai confini c’è troppa incertezza. Per questo non c’è da essere troppo ottimisti

La finanza cinese, quella di grosso calibro, manda un avviso ai naviganti. O meglio, al partito. L’economia del Dragone nel 2023 crescerà, stime di Pechino, del 5%. Cifra lontana dai ritmi del passato, eppure il governo di Xi Jinping avrebbe di che accontentarsi. Il motivo? Lo hanno spiegato le principali banche del Paese, i veri motori della seconda economia del Pianeta, che di certo non vivono, come più volte raccontato da questa testata, un momento felice.

Ebbene, le cinque principali banche cinesi hanno avvertito che la ripresa del Paese è ancora su un terreno instabile, fragile. Che, insomma, non bisogna farsi troppe illusioni. E questo nonostante i medesimi istituti di credito abbiano registrato una crescita dell’utile netto annuo superiore al 3,5%. Bank of Communications e Bank of China (BoCom) hanno per esempio entrambe registrato una crescita dell’utile di poco superiore al 5%. Cifre ancora più elevate sono arrivate dalla Agricultural Bank of China (AgBank) e dalla China Construction Bank, che hanno entrambe registrato una crescita dell’utile netto superiore al 7%.

Eppure, “l’economia domestica ha registrato una ripresa stabile, ma le basi per la ripresa non sono ancora solide”, ha affermato AgBank nella sua relazione che ha accompagnato il bilancio. Non è tutto. “Lo stress di liquidità del settore immobiliare richiederà ancora tempo per riprendersi”, ha affermato Lin Hua, chief risk officer di BoCom, mentre “la pressione sul margine di interesse netto delle società immobiliari e le sacche di rischio nel settore rimangono le principali sfide”, ha chiarito un altro manager della banca cinese. Insomma, per la Cina il pericolo di una nuova stagnazione è tutt’altro che alle spalle.

“Nel 2023”, si legge ancora nei documenti di bilancio di AgBank, “la situazione economica globale sta affrontando una sempre maggiore complessità e incertezza, con le principali economie a maggior rischio di recessione e i mercati emergenti esposti a una più alta volatilità delle valute, del flusso di capitali e dei mercati finanziari”. Certo non aiuta all’economia del Dragone la grande esposizione finanziaria delle banche con i Paesi in via di sviluppo.

La Cina ha speso 240 miliardi di dollari tra il 2008 e il 2021 per il soccorso finanziario di 22 Paesi in via di sviluppo che hanno aderito all’iniziativa della nuova Via della seta (Belt and Road Initiative, Bri). Un dato piuttosto pesante, emerso da uno studio pubblicato oggi dalla Banca mondiale, dalla Harvard Kennedy School, da AidData e dal Kiel Institute for the World Economy. Secondo lo studio, negli ultimi anni il fenomeno si è progressivamente intensificato, assieme alle difficoltà dei medesimi Paesi in via di sviluppo di risarcire i prestiti contratti per realizzare i progetti della Bri. Questo, per la natura piuttosto opaca e vessatoria delle clausole insite nei medesimi finanziamenti.

 

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