I piani del Dragone per mettere le mani sulle economie di mezzo mondo rischiano di franare. Quasi 80 miliardi di prestiti erogati dalle banche cinesi per finanziare le infrastrutture non verranno recuperati. Le banche scontano le perdite e si rivolgono, ancora, al mercato per chiedere liquidità
Le crepe, già di una certa profondità, erano comparse da tempo. Ma ora la Via della Seta rischia di finire in un pozzo dal quale sarà difficile uscire. In principio la Cina aveva dovuto fare i conti con i primi, clamorosi, voltafaccia. Paesi finiti nello scacchiere del Dragone, che però non ne hanno voluto sapere di mettersi in casa propria un inquilino scomodo e ingombrante come quello cinese: in altre parole di indebitarsi per realizzare opere e infrastrutture a volte strategiche, altre volte no.
Sì, perché il senso profondo della Via della Seta è proprio questo. Pechino mette i soldi, realizza l’opera, il Paese destinatario ne usufruisce e nel mentre ripaga il debito. Come più volte raccontato da Formiche.net, la natura dei prestiti cinesi è piuttosto opaca, quando non vessatoria. Per questo il corto circuito, alias l’insolvenza di chi si indebita, è sempre dietro l’angolo. Anzi, stavolta è direttamente servito su un piatto. Mandando in tilt l’intero progetto cinese.
Che succede? Il programma cinese di finanziamento delle infrastrutture, a monte della Belt and Road Initiative da mille miliardi di dollari è stato colpito da una spirale di prestiti inesigibili, con oltre 78 miliardi di dollari di crediti che si sono deteriorati negli ultimi tre anni. In altre parole, chi ha ricevuto i finanziamenti da Pechino, ora non è in grado di rimborsarli. Forse il governo di Xi Jinping non aveva fatto i conti con parole come guerra, pandemia, inflazione.
E così, come racconta il Financial Times, su per giù 78,5 miliardi di dollari di prestiti da istituzioni cinesi per la realizzazione di strade, ferrovie, porti, aeroporti e altre infrastrutture in tutto il mondo sono stati rinegoziati o cancellati tra il 2020 e la fine di marzo di quest’anno. Insomma, guai grossi per Pechino e le sue banche. “Non ci sono cifre ufficiali per l’entità totale dei prestiti della Belt&road nell’ultimo decennio, ma si ritiene che essi si aggirino intorno ai mille miliardi”, ha spiegato, Brad Parks, direttore esecutivo di AidData presso la William and Mary University negli Stati Uniti . Inoltre, Pechino ha esteso un volume senza precedenti di “prestiti di salvataggio” per prevenire insolvenze sovrane da parte di grandi mutuatari tra i circa 150 paesi che hanno aderito alla Bri. Ma non sembra essere bastato.
Il problema è che un numero crescente di Paesi inseriti nella Bri viene spinto sull’orlo dell’insolvenza a causa del rallentamento della crescita globale, dell’aumento dei tassi di interesse e dei livelli record di indebitamento nei Paesi in via di Sviluppo. “Francamente, penso che questo sia solo l’inizio. Le banche cinesi hanno interesse a garantire che i loro maggiori mutuatari esteri siano sufficientemente liquidi per continuare a onorare i debiti dei progetti infrastrutturali”, ha affermato Parks.
Poi si sa, i nodi vengono al pettine. E allora ecco spiegata la mossa, disperata, degli istituti cinesi. Le sofferenze menzionate hanno prodotto delle svalutazioni sui bilanci, provocando delle perdite. Che ora vanno coperte. Pronta dunque una maxi emissione obbligazionaria da 40 miliardi di yuan per raccogliere capitale fresco sul mercato. Tanto per fare un esempio, la Industrial & Commercial Bank of China starebbe pianificando di attingere ai mercati nazionali del debito per vendere una nuova categoria di obbligazioni con capacità di assorbimento totale delle perdite già a giugno, per almeno 10 miliardi di yuan. Qualcuno ha fiutato l’aria di tempesta?