Il 60% degli italiani alle regionali non è andato a votare. Si tratta di una spirale in atto da tempo, che man mano peggiora. A questo punto il risanamento, il rinnovamento, la ricostruzione del senso della cittadinanza, non può che ripartire dall’essere e sentirsi cittadini tutti i giorni (e non solo il giorno delle elezioni). Il commento di Luigi Tivelli
Si è steso un poco pietoso velo di silenzio, su un dato sociale e politico molto significativo, ci riferiamo a quell’oltre 60% dei cittadini che alle ultime elezioni regionali non si è recato alle urne. Per molti versi, una parte significativa della stampa tende a inseguire il “day by day”, o peggio “hour by hour”, del confronto politico quotidiano senza indagare invece i fenomeni sociali e politici di fondo della società italiana. Non credo si possa ritenere che in seno a quell’oltre 60% ci siano solo persone prese dal loro mutuo, o dal bonus del 110%, men che meno dal bonus biciclette o quant’altro. Non è che l’unica manifestazione della cittadinanza, e soprattutto del senso della cittadinanza, sia quella del voto…
Ma il modo di far politica italiano e, nello specifico, il tipo di confronto politico in atto sembra in qualche modo fatto apposta per allontanare man mano più cittadini possibili dal voto. Cittadini, tra i quali specie i giovani, che invece seguono altre strade della cittadinanza e della partecipazione, come quelle che internet o la vita di quartiere possono consentire. È poi da riflettere sul fatto che molti più o meno consapevolmente sanno che in una Repubblica, bisogna essere e sentirsi cittadini tutti i giorni, non come certe forze politiche vorrebbero o preferirebbero il giorno delle elezioni. Credo che lo sviluppo della storia della Repubblica, a questo proposito, si possa sintetizzare in termini molto plastici: man mano che lo Stato, le amministrazioni pubbliche, le regioni, i comuni, evidenziano e dimostrano di aver perso il senso dei cittadini, i cittadini perdono progressivamente il senso dello Stato. Si tratta di una spirale in atto da tempo, che man mano peggiora. A questo punto, quindi, il risanamento, il rinnovamento, la ricostruzione del senso della cittadinanza, non può che ripartire dall’essere e sentirsi cittadini tutti i giorni (e non solo il giorno delle elezioni).
Cittadini che portano nel loro zaino un insieme di strumenti che si possono attivare fatti da poteri, diritti, interessi legittimi, possibilità di attivarsi rispetto allo stato alle amministrazioni e ai servizi pubblici sulla base di un fiero ed orgoglioso senso della cittadinanza. Un senso della cittadinanza che come tale rende anche meno gravoso il bagaglio dei doveri che agli stessi cittadini spetta. In questo quadro il Comune, che dovrebbe essere la “casa comune” dei cittadini, le amministrazioni e i servizi pubblici, dovrebbero diventare “case di vetro”, dove finalmente chi sta dentro potrebbe osservare e capire chi sta fuori, mentre chi sta fuori potrebbe comprendere e vedere cosa si agita dentro. A cominciare da burocratismi, inefficienze, autoreferenzialità e quant’altro. Spetta, quindi, ai cittadini essere i veri attori e protagonisti del “risanamento amministrativo” e contribuire man mano alla rifondazione del rapporto – oggi attestato in termini perversi – fra i cittadini e i pubblici poteri.
Certo, stiamo parlando di un aspetto della vita politica, sociale, istituzionale in cui oggi c’è non poco buio, ma spetta ai cittadini fare luce con le idee, i progetti e con spunti adeguati di riflessioni si può rifornire nuova “energia elettrica” per il senso della cittadinanza. Spetta però ai cittadini la consapevolezza che ognuno di noi dispone almeno di una torcia. Certo, non basta una torcia per fare luce, laddove c’è il buio, ma migliaia o milioni di torce possono contribuire a generare la luce, per trasformare le mura dei palazzi pubblici da impenetrabili ed oscure fortezze a palazzi di cristallo trasparenti e limpidi.
Esistono alcuni ambiti di intervento: controllo diffuso sulle nomine e le preposizioni agli incarichi negli enti, nelle società, nelle amministrazioni, nei servizi pubblici; controllo diffuso delle quote di destinazione dei comuni ai servizi sociali; controllo sulla effettiva attuazione dei programmi sbandierato dai leader politici a livello locale e centrale; controllo sulle effettive destinazioni degli appalti, specie di quelli gestiti in forma diretta dai comuni. Questi ed altri possono essere le materie e gli ambiti in cui i cittadini possono riprendersi lo “scettro” per usarlo di conseguenza. Perché non c’è vera democrazia se lo scettro non torna nelle mani del “principe-cittadino”. Restituire lo scettro al principe (come recitava il titolo di un bel libro di Gianfranco Pasquino) deve essere il primo obiettivo di “noi cittadini”.