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Dalla cultura dominante della sinistra a una nuova egemonia (da costruire)

Sarà sano e funzionale un tendenziale ricambio culturale, ma per fare l’intellettuale o il giornalista non basta partecipare ai talk show. L’intervento di Luigi Tivelli

Non so se il grande filosofo Giovanni Gentile, al quale dobbiamo tra l’altro due dei beni culturali più importanti della storia della nazione, come la Treccani e il liceo classico, si sarà agitato un po’ nella tomba ad assistere alla sua celebrazione con qualche improvvisata citazione molto applaudita da Pingitore e Pippo Franco (a loro volta applauditissimi) all’evento sulla cultura della destra, “Pensare l’immaginario italiano. Stati Generali della cultura nazionale” svoltosi lo scorso 6 aprile.

Un evento che avviene proprio mentre giustamente tanti italiani sono molto presi dagli esiti del ricovero di Silvio Berlusconi al San Raffaele. È stato infatti lui sin dal ’94 a sdoganare la destra in questo strano Paese. Così come è stato poi Gianfranco Fini a fare grandi passi avanti su questo sdoganamento anche tramite quella importante missione di Stato in Israele per declamare da Gerusalemme che “il fascismo è stato un male assoluto”.

Ora la principale sdoganatrice della destra e della cultura della destra alla quale ha sempre attinto a piene mani, in modo più o meno selettivo e profondo, è Giorgia Meloni. L’appuntamento in questione si colloca in sequenza con l’appuntamento dell’estate scorsa a Milano prima delle elezioni di settembre che avrebbero sancito il successo di Fratelli d’Italia. In quell’occasione a Milano erano stati abili a salire sul carro della Meloni, avendo intuito (anche se non era certo difficile…) che sarebbe stato il carro vincente, molti nominandi e notabili.

Nell’evento dei giorni scorsi oltre Pingitore e Pippo Franco c’erano molti altri esponenti della cultura, chi più chi meno aspirante a scranni, rubriche nei giornali o spazi in tv. Fra gli altri è stato molto omaggiato un giovane editore e scrittore, Francesco Giubilei, con una impronta più tendente al conservatorismo che al sovranismo, non a caso già da un po’ tra i più ricercati nei maggiori talk show.

Ho citato il cleavage tra “conservatorismo” e “sovranismo” in relazione al bravo e giovane Giubilei perché fatico a comprendere quanto di cultura sovranista e quanto di cultura sanamente conservatrice ci fosse in quella platea, e anche fra qualcuno degli organizzatori. Si tratta di un dilemma che rimane irrisolto. Credo sia prevalso un certo senso nostalgico, un po’ mascherato, di qualche afflato sovranista. Pur essendo molto aperto a cogliere ciò che poteva emergere non sono riuscito a comprendere quali sono i veri temi che la destra imbraccia. Ad esempio – ironia della sorte – proprio nello stesso giorno sono stati pubblicati i tremendi dati Istat sull’andamento demografico, a cominciare da quella soglia di circa 400.000 nascite l’anno, cui siamo giunti in un grave itinerario di impoverimento demografico del Paese dopo una progressiva discesa.

Ebbene, Giorgia Meloni ha giustamente messo al centro del suo programma di governo la questione della natalità. Ma sta emergendo qualche piccolo tocco normativo a sostenere la questione della natalità. Però nessuno degli intellettuali di destra, seduti in quella assise ha affrontato seriamente la questione. Nessuno si è accorto di un dato che concerne uno degli aspetti più nobili della questione sulla natalità: quello sulle adozioni. Credo che nessuno si sia accorto che il numero delle adozioni internazionali già fermo durante i primi anni del 2000 a 4-5 migliaia di unità sia sceso a poche centinaia nel corso di tutto l’anno 2022. Viviamo in mezzo ad una classe politica ed intellettuale che scatena man mano scontri all’arma bianca del tipo “viva le nuove famiglie arcobaleno o Lgbtq”, a sinistra, contro la famiglia naturale fatta da un padre, una madre e i figli, a destra.

Abbiamo sentito risuonare nelle scorse settimane la questione dei figli, lo scontro se le coppie gay possano o no avere o adottare figli, mentre nessuno si accorge che l’adozione non c’è più perché manca quella materia fondamentale che sono i bambini. Un problema di cui anche una ministra già radicale, ma oggi radicalmente cattolica come la ministra della famiglia che come tale è anche presidente della commissione per le adozioni internazionali, non sembra essersi accorta. Forse si tratta di questioni di bassa lega, rispetto alle citazioni dal più o meno presunto o più o meno fondato pantheon della destra, ma se una vera cultura conservatrice non affronta la questione demografica e quella delle adozioni, non vedo che altre questioni debba affrontare.

Tendo ad osservare questo processo della cultura di destra (nella speranza che prevalga l’approccio conservatore) anche perché credo che case editrici, redazioni di giornali, Rai e perfino Mediaset soprattutto negli anni passati siano state irrorate da apparenti intellettuali, giornalisti o similari forti di una comoda appartenenza alla sinistra. Mentre prima erano stati irrorati dalla peggiore forma di cultura proveniente dall’estremismo extra parlamentare, a cominciare dalla lobby di Lotta Continua e dalla più ristretta lobby di Potere Operaio.

Riterrei sano e funzionale un tendenziale ricambio, però per fare l’intellettuale o il giornalista non basta andarsi a sedere in un talk show o cercando visibilità a un convegno. A parte gli aspetti che riguardano l’editoria, piena di agenti, supereditor, editor che hanno bevuto anche il latte più acido della sinistra, la condizione del giornalismo italico non mi sembra delle migliori: una serie di giornali schierati a destra dal cleavage generato da Berlusconi; qualche giornale salito da poco sul carro meloniano; il Corriere della sera che si barcamena guardando però con attenzione alle mosse del nuovo governo; Repubblica che spara missili e colpi di mortaio dalla trincea dell’opposizione culturale. Ora non è che il povero cittadino che ancora si ostina a comprare i giornali ne possa comprare ogni giorno tre per farsi un minimo di idea non settaria sulla realtà. Ci sono poi le corazzate della Rai, filo-governative, che già da vari mesi attendono una nuova presa della Bastiglia rispetto alla quale Giorgia Meloni, mi sembra giustamente, si muove con cautela.

Il quadro mi sembra alla fin fine tale da far prevalere la sentenza indiscutibile di Paul Valéry per cui, grazie anche al contributo di sedicenti intellettuali e giornalisti, “la politica è l’arte di impedire alla gente di impicciarsi di ciò che la riguarda”.

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