Gli industriali condividono la linea della cautela scelta dal governo nell’ultimo Documento di economia e finanza. Meglio essere morigerati che scrivere un libro dei sogni. Sul cuneo lo sforzo è apprezzabile, ora massima concentrazione sul Pnrr. L’esecutivo, però, ha avuto due amnesie
Una sponda importante, non scontata. Dalle imprese italiane, motore dell’economia nazionale, arriva un sostanziale sì al Documento di economia e finanza, il primo recante la firma di Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti. E che fissa il perimetro e la gittata della prossima manovra di bilancio (qui l’intervista all’economista Stefano Micossi). Partendo da due assunti: primo, quest’anno la crescita italiana si porterà all’1%, per poi accelerare all’1,5% nel 2024. Secondo, è stata messa in calce una traiettoria discendente del debito, così come chiede, forse pretende, l’Europa.
Tanto basta ad aver convinto Confindustria, ascoltata in audizione alla Camera e al Senato proprio sul documento di finanza pubblica, per mezzo del direttore del Centro studi di Viale dell’Astronomia, Alessandro Fontana (giovedì prossimo sono in programma le audizioni di Bankitalia e dello stesso ministro dell’Economia). Le imprese, inutile negarlo, sono sotto stress. L’inflazione (al 7,6% a marzo) morde ancora e produrre costa ancora molto, in termini di bolletta e materie prime. Ma la prudenza paga sempre e allora un Def non certo imbottito di sogni, può anche starci.
NEL NOME DELLA PRUDENZA
“Per quanto riguarda i conti pubblici”, si legge nel documento consegnato alle commissioni Bilancio riunite, “è positiva la scelta del governo di confermare gli obiettivi programmatici di deficit fissati a novembre scorso, che prevedono una riduzione progressiva di deficit e debito. D’altra parte, la riattivazione delle regole del Patto di stabilità e crescita a partire dal prossimo anno impone l’individuazione di una traiettoria di rientro di deficit e debito coerente, per quanto riguarda il 2023, con le vecchie regole e, nel medio periodo, con quelle proposte dalla Commissione europea a novembre scorso”.
Tradotto, bene l’approccio cauto. Perché “il perseguimento dell’equilibrio dei conti pubblici è cruciale per evitare ulteriori aumenti dei tassi di interesse sul debito pubblico e di quelli praticati a imprese e famiglie. Però questo significa che le risorse pubbliche disponibili (come differenza tra obiettivi programmatici e tendenziali) saranno esigue: circa 3 miliardi per quest’anno e 4 per il 2024”, chiarisce Confindustria. Non è certo un mistero che il taglio del costo del lavoro sia la madre di tutte le battaglie per le imprese. Ma d’altro canto, o si è cauti e allora si accorcia la coperta, ovvero il tesoretto a disposizione, o si va di finanza allegra con il rischio di sballare i conti, inimicarsi i mercati e, soprattutto non mantenere le promesse.
I tre miliardi menzionati dagli Industriali, l’esecutivo vuole destinarli proprio al cuneo fiscale. Il che fa sorridere gli imprenditori. “A questo proposito, Confindustria valuta positivamente la destinazione dei 3 miliardi quest’anno al taglio dei contributi sociali per i lavoratori dipendenti a basso reddito, anche se si tratta di un ammontare esiguo che dovrebbe essere integrato con altre risorse da recuperare attraverso un’attenta revisione della spesa. Questo intervento porta a 7,2 le risorse complessive destinate al taglio del cuneo, sommando i 4,2 miliardi già stanziati con la Legge di bilancio 2023, che potrebbero far scendere il cuneo per i redditi sotto i 25 mila euro di circa 4 punti percentuali. Bene anche la destinazione dei 4 miliardi sul 2024 al Fondo per la riduzione della pressione fiscale”.
MISSIONE PNRR
Va bene. Poi c’è il capitolo Pnrr, dunque la crescita. Qui l’appello delle imprese è chiaro. “Se le risorse di bilancio saranno limitate, le uniche vere a disposizione saranno quelle previste da Pnrr e RepowerEu e i fondi di coesione. Per questo occorre, con ancora maggior determinazione, utilizzarle tutte e nel modo più efficiente. Soprattutto l’attuazione del Pnrr è cruciale, non solo sul versante nazionale, ma anche nell’ottica della nuova governance economica e delle prossime scelte sulla politica industriale europee”.
Non è finita. Le imprese offrono anche un’altra sponda al governo, quella per la ricalibrazione delle spese legate al Piano, anche e non solo alla luce dei costi delle opere. “Sul Pnrr, però, nel periodo 2020-2022, gli interventi finanziati sono stati solo 17,7 miliardi sui 24,5 previsti, risultato però dell’ampia revisione che rispetto al Def 2021 aveva dimezzato le previsioni di spesa. Ora il governo ha avviato le interlocuzioni per rimodulare alcuni progetti al fine di accelerarne l’attuazione, anche a seguito dell’approvazione di RePowerEU. Per Confindustria, alcune modifiche al Piano sono senz’altro necessarie, ma non dovranno minarne l’ambizione”.
DUE AMNESIE DI GOVERNO
Attenzione però, non è tutto rose e fiori. Ci sono due vuoti nel Def, che Confindustria vorrebbe colmare. Per esempio, nel Documento di economia e finanza “non si fa riferimento a plastic tax e sugar tax, introdotte nel 2020 e mai divenute operative per le loro gravi criticità, la cui entrata in vigore è prevista per gennaio 2024. Confindustria considera prioritaria la loro soppressione visto che non hanno nessuna finalità ambientale e non presentano alcuna motivazione per la salute”.
E ancora, in tema di garanzie pubbliche (quelle previste per i finanziamenti alle aziende), il Def “non contiene indicazioni chiare e convincenti. Ferma la necessità di delineare un graduale percorso di rientro dal supporto rafforzato previsto per la crisi pandemica e quella energetica, riteniamo, soprattutto alla luce delle condizioni attuali e prospettiche di accesso al credito, che il Fondo di Garanzia per le pmi debba essere rafforzato, sia prevedendo la gratuità di accesso allo strumento, sia innalzando l’importo massimo garantito ed estendendo la platea dei beneficiari alle mid cap“.