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Le vere ragioni del fallimento del Terzo Polo secondo Tivelli

Costruire una formazione politica senza sapere a quale memoria storica attingere e senza un sano rapporto con una vera cultura politica di riferimento è opera non facile. Per certi versi riuscì a Berlusconi nel 94, ma non è che ogni 5 o 10 anni si scopra un nuovo Berlusconi… Il commento di Luigi Tivelli

Sulla apparentemente insanabile frattura, più che un divorzio (anche perché non si capisce chi paga gli alimenti a chi), tra Italia Viva e Azione, è stato scritto ovviamente un fiume di inchiostro. Non mi è parso però di trovare la vera sostanza da cui nasce la questione. È vero che oggi i partiti sono liquidi, se non aeriformi, sono formazioni al servizio di un capo o di una capa.

Ed era chiaro già da un po’ che due capi, un po’ protagonisti e narcisi, come Renzi e Calenda non potevano convivere. D’altronde fin dall’inizio era stato un matrimonio d’interesse… Calenda con la sua Azione non sarebbe stato in grado di raccogliere le firme necessarie per presentarsi alle elezioni, dato che era la prima volta che correva alle politiche con il suo simbolo. Mentre Renzi non sapeva se la sua Italia viva sarebbe riuscita a superare la soglia di sbarramento fissata dalla legge elettorale vigente.

Così tramite questo “matrimonio combinato” Renzi è riuscito nell’operazione che a lui interessava, di portare una sua piccola squadra in Parlamento, mentre Calenda è riuscito a superare il problema delle firme. Ma sin qui non è che ci sia molto di nuovo nell’analisi che cerco di fare. Il quesito è invece: quale è la storia, il senso della memoria storica, il matrimonio fra cultura e politica in ognuno dei due piccoli partiti che formavano il Terzo Polo che ora si è disciolto?

Renzi è una sorta di reduce istituzionale che gioca a fare il leader di rango internazionale (nel senso che viene ospitato a pagamento in qualche paese come ex premier). Ma non si capisce quale sia la cultura di riferimento di Italia viva, che ha una storia troppo recente, soprattutto legata ad una guida di partito molto personalistica, che ha reciso i legami con la storia di quel Pd da cui proveniva e che lo aveva messo a fare il presidente del Consiglio grazie a quei tipici facili innamoramenti che capitano ai postcomunisti e al Pd.

Calenda, invece, con la sua Azione prima amava dire di essere con la sinistra e di cercare un dialogo con la sinistra, mentre oggi ama più dire di essere un liberale… Il senso della memoria storica è quello che è, anche perché Azione ha raccolto ex ministri del centro destra, transfughi dal Pd e qualche esponente della società civile, senza un collante o una visione comune.

Non è mai stato facile capire quale è l’amalgama e la cultura politica di Azione, salvo il fatto che Calenda ha continuato a manifestare quel certo senso di decisionismo che forse era tipico della sua vita precedente di manager e che forse lo aveva aiutato a svolgere abbastanza bene la funzione di ministro dello Sviluppo economico. Ma mi sembra sia rimasto più manager che politico, se non fosse per una sua certa attitudine narcisistica, squisitamente politica, e il suo operare permanentemente come twittatore seriale con qualche gaffe di tanto in tanto.

La sintesi di questa breve analisi è che costruire una formazione politica senza sapere a quale memoria storica attingere e senza un sano rapporto con una vera cultura politica di riferimento è opera certo non facile. Per certi versi fu un’opera che riuscì a Berlusconi nel ’94, ma non è che ogni 5 o 10 anni si scopra un nuovo Berlusconi… Quanto a Renzi, certo può diventare man mano più ricco e salire nel ranking delle dichiarazioni dei redditi dei parlamentari, e provare a fare qualche altra manovra tattica di Palazzo, ma vai a capire la sua cultura politica, vai a guardare alla memoria storica cui fa riferimento. Ora poi è molto preso a maturare di più una certa cultura giornalistica, anche se il “giovane favoloso” di Rignano sull’Arno deve ancora dare prova delle sue capacità in questo settore.

Dunque, senza memoria storica e senso di essa, senza una qualche forma di simbiosi con una sana cultura politica si può dare un contributo al diffuso presentismo, ma certo non si possono fondare veri nuovi partiti. Questo mi sembra sia la sintesi di ciò che è avvenuto in relazione al divorzio tra Italia viva e Azione. Anche se non è che a dire il vero gli altri partiti del panorama del nostro arco politico, brillino per senso della memoria storica e per capacità di simbiosi con una vera e sana cultura politica.

Se cerchiamo una dimostrazione contraria basta rilevare che l’unico partito tra quelli in qualche modo presenti che può vantare una continuità rispetto all’origine risorgimentale (nato nel 1895) è il più piccolo ed il più antico dei partiti italiani: il Partito Repubblicano Italiano. Una definizione, quella di “repubblicano”, tornata di moda. Vuoi perché a destra sembra essere tornata l’ipotesi di fondare un “Partito Repubblicano” inteso nel senso statunitense del termine, vuoi perché lo stesso Calenda era tentato di fare una qualche forma di Opa sulla storia del pensiero repubblicano italiano. Molto probabilmente però sine studio, come è tipico di molti leader politici italiani contemporanei.

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