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Per le banche Usa non è finita. Il (nuovo) caso di First Republic

L’istituto fallito negli stessi giorni di Svb e Signature ha perso il 50% del proprio valore in Borsa in un solo giorno, sull’onda emotiva della fuga di 100 miliardi di depositi. L’intervento tempestivo del governo ha limitato i danni, ma la sensazione è che i risparmiatori non siano ancora tranquilli. Intanto l’economista Jim Cramer rassicura: guai a fare paragoni con Lehman Brothers​

Non è Lehman Brothers, ma nemmeno un petardo di Capodanno. I clienti della First Republic Bank hanno ritirato dalla banca più di 100 miliardi di dollari in depositi dalla crisi del mese scorso. Fin qui potrebbe sembrare tutto abbastanza normale per una banca fallita ma messa in sostanziale sicurezza grazie al pronto intervento del governo americano (di concerto con altre banche di stazza maggiore), lo stesso riservato ad altri due istituti saltati per aria negli stessi giorni, Svb e Signature Bank.

E invece no, ci sono due elementi e nemmeno tanto banali. Primo, se è vero che 100 miliardi di dollari hanno preso il volo da un mese a questa parte allora vuol dire che, nonostante il paracadute del governo americano, c’è un problema di fiducia. Secondo, il titolo di First ha perso metà del suo valore in Borsa, nel giro di qualche ora. Quello sui depositi (lo stesso, come raccontato da Formiche.net, sta accadendo con il Credit Suisse) era il dato più atteso della trimestrale presentata da First Republic, con sede a San Francisco. Un dato peggiore delle attese e che ha segnato la seduta di lunedì di Wall Street, dove i titoli dell’istituto californiano hanno chiuso in calo del 49,37%.

E adesso? Non è chiaro se l’emorragia sia già stata fermata, ma di certo First Republic intende vendere attività e ristrutturare il proprio bilancio, anche e non solo licenziando fino a un quarto della propria forza lavoro, che alla fine del 2022 ammontava a circa 7.200 dipendenti. First Republic ha comunicato di avere depositi per 173,5 miliardi di dollari all’inizio di marzo, prima del fallimento della Silicon Valley Bank il 9 marzo. Il 21 aprile aveva depositi per 102,7 miliardi di dollari, compresi i 30 miliardi di dollari depositati dalle grandi banche, a titolo di salvataggio. Dalla fine di marzo, i suoi depositi sono rimasti relativamente stabili.

“Continuiamo a prendere provvedimenti per rafforzare la nostra attività”, hanno dichiarato Jim Herbert, presidente esecutivo della banca, e Mike Roffler, amministratore delegato della banca, in una dichiarazione congiunta.

Attenzione, perché anche la Casa Bianca è in manovra. Dopo aver orchestrato i salvataggi dei risparmi, per mano del Tesoro e per quanto possibile, la stessa banca californiana, secondo indiscrezioni, è in contatto con il governo americano.

Tutto questo mentre Western Alliance Bank Corp e Pac West, altre banche in odore di knock out, continuano a perdere pezzi in Borsa, lasciando rispettivamente sul terreno il 7% e l’8%. Meno male che secondo l’economista americano Jim Cramer ogni paragone con Lehman è fuorviante: “C’è una grande differenza tra oggi e il 2008: questa volta non c’è nessun contagio sistemico”.


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