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Cosa aspettarsi dalla nomina di Luigi Di Maio nel rapporto Ue-Golfo

La nomina di un inviato speciale per la Regione del Golfo da parte dell’Ue, ricaduta sull’ex ministro Di Maio, rappresenta un passo in avanti per le consapevolezze reciproche tra le due aree. Bruxelles sembra interessata a strutturare una partnership strategica più profonda, sebbene restino sfide da affrontare e barriere da superare

La prossima nomina dell’ex ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, a inviato speciale dell’Unione europea per la Regione del Golfo – come indicato dall’Hr/Vp Josep Borrell – segnerà un momento importante per le relazioni tra Europa e Golfo, due regioni che stanno aumentando il livello di interconnessioni sulla base di un accresciuto grado di consapevolezza reciproca.

Consapevolezze reciproche

Il mondo del Golfo ha ormai acquisito contezza – un’accettazione interessata – della dimensione multipolare delle relazioni internazionali. Condizione che facilita la volontà di molti di quei Paesi di costruire un proprio standing internazionale indipendente da allineamenti o posizioni subordinate, anche nell’ottica di differenziare economie e percezioni che gli altri hanno di essi. Quei Paesi, pur consapevoli che la loro forza attuale si basa sul valore economico acquisito attraverso il predominio nel mondo energetico, cercano spazi di crescita differenti.

Basandosi sulle proprie capacità economiche – rinvigorite dallo scombussolamento che la guerra russa in Ucraina ha imposto al mercato dell’energia – cercano adesso di porsi come interlocutori totali. Detestano la possibilità di trovarsi invischiati in giochi a somma zero, cercano di dialogare con ognuno di quei poli che segnano le dinamiche internazionali. Stati Uniti, Cina, Russia, India, Asia Centrale ed Estremo Oriente, e chiaramente l’Europa. Negli affari globali multipolari, l’Unione Europea ha un posto di prima fila. Anzi: se c’è un polo che può fare da punto di bilanciamento nella crescente competizione tra Pechino e Washington, quello è a Bruxelles. Percezione chiara nel Golfo come in altre regioni del mondo.

Le relazioni tra l’Unione europea e la regione del Golfo hanno avuto negli ultimi due decenni un andamento altalenante. Da quando nel 2008 è fallita una prima spinta per un accordo di libero scambio tra l’Ue e il Consiglio di cooperazione del Golfo (Gcc), pochi seri sforzi sono stati compiuti per rilanciare i rapporti in modo organico e strutturato. Ma nell’ultimo anno, come ricordava su queste colonne Mohammed Bahrhoon (Dubai Public Policy Research Center, B’huth), c’è stato un aumento di consapevolezza reciproca su cui sembrano porsi le basi di un potenziale accordo di partnership strategica, annunciato con un documento europeo lo scorso maggio. La nomina di un inviato speciale nella regione è un ulteriore segno di volontà di costruire ponti più solidi (che la scelta ricada su un italiano è un valore aggiunto, visto la capacità che l’Italia ha di dialogare con tutti gli attori della regione).

L’Europa nel Golfo multipolare

La sfida per l’Europa – e dunque per Di Maio – è ampia. Che si tratti della minaccia nucleare iraniana, degli Houthi nello Yemen, della guerra civile libica o dell’invasione russa dell’Ucraina, è stato spesso difficile per Ue e Golfo trovare una prospettiva comune o una causa comune. Questo nonostante il fatto che entrambe le parti condividano molti interessi. Unite, le due regioni rappresentano il 20% del Pil mondiale, e hanno necessità comune di preservare un ordine internazionale basato su regole e linee di comunicazione marittime e terrestri sicure, perché entrambe quelle aree di mondo beneficiano in modo diretto degli effetti della globalizzazione. Basterebbe questo. E con la differenziazione economica (e psico-socio-politica) da Oil&Gas, per il Golfo le interconnessioni saranno sempre più importanti – lo dimostrano d’altronde gli ampi investimenti nelle infrastrutture di comunicazione su cui vari Paesi, gli Emirati Arabi Uniti su tutti, hanno scommesso.

Elemento costitutivo di questa rinnovata relazione, uscito dal Consiglio congiunto Ue-Gcc del febbraio 2022, è proprio la ricerca della stabilità. La sfera geo-economica è quella prevalente nelle relazioni reciproche, ed essa non può prescindere dal mantenimento di una stabilità geopolitica e in definitiva securitaria. Un fattore determinante che gli stessi protagonisti della regione hanno ormai chiaro. Le varie dinamiche di distensione innescate da tempo all’interno del Mediterraneo allargato raccontano questo: da una stagione in cui quegli stessi attori pensavano di poter risolvere le proprie criticità attraverso dinamiche di forza si è passati a una fase intensa di dialoghi e détente. Per esempio, Arabia Saudita e Iran si parlano – il presidente iraniano potrebbe in questa settimana andare a Riad o Jeddah, in una visita storica.

E se si considera che questa cruciale mediazione è stata capitalizzata da Pechino – che ha ospitato la firma dell’intesa di normalizzazione delle relazioni irano-saudite – diventa chiaro come per l’Europa esistano tanti spazi quante sfide. La competizioni tra player internazionali interessati a giocare un proprio ruolo nella regione è spietata. E se finora nemmeno gli interessi condivisi hanno generato un impulso a portare la cooperazione a un livello significativo al di là dei legami bilaterali dei singoli paesi, qualcosa sembra che stia cambiando. Anche nella necessità. Per Di Maio e per l’Europa si sta aprendo una stagione in cui la costruzione di una partnership strategica più strutturata potrebbe permettere ai Paesi europei di avere un framework di protezione più ampio e stabile. L’Unione, se agisce da blocco, ha certamente maggiori possibilità di spingere i propri interessi rispetto ai suoi singoli Paesi.

Nel reciproco aumento di consapevolezze su cui dovrebbe basarsi questa nuova fase delle relazioni, vanno superati preconcetti e malintesi reciproci. Nel Golfo, per esempio, l’approccio troppo collegato al soft power dell’Ue e il linguaggio eccessivamente carico di retoriche valoriali sono visti come in parte ingenuo in parte paternalistico e invadente. Dallo stesso tempo nell’Ue, alcune posture assunte dai Paesi del Golfo sono state viste come politiche autoritarie di potere. Nessuna delle due parti ha avuto abbastanza pazienza e leadership per colmare il divario, con i principali Stati membri dell’Ue che hanno preferito spingere i loro affari bilaterali.

Transizione energetica come base, sicurezza e politica per il futuro

Tutto questo coincide anche con la consapevolezza in Europa che le ambizioni per un futuro a emissioni zero, potrebbero richiedere una maggiore cooperazione con i maggiori produttori mondiali di idrocarburi. La transizione energetica è un profondo punto di contatto tra Ue e Gcc. Se nell’immediato la concentrazione di questo asset del rapporto è sul cosa i Paesi del Golfo possono fare per l’Ue – sia per sganciarsi dalla dipendenza dalla Russia, che per spingere i processi di transizione in modo comune, per esempio sull’ idrogeno verde – contemporaneamente i due blocchi intendono progettare forme di investimento congiunto in Paesi terzi. L’obiettivo di aiutare congiuntamente le nazioni più povere nella transizione verso le rinnovabili diventa un lineamento di carattere strategico per cooperazioni più ampie.

Per strutturare queste attività che coinvolgono terze parti, però, serve innanzitutto che l’Ue fornisca al Golfo alternative interessanti ed efficaci. Il rischio è chiaramente collegato a quella multipolarità: la regione ha intenzione di dialogare con tutti, e dunque si crea una competizione basata sull’efficienza. Il rilancio dei negoziati per un accordo commerciale è un evergreen, ma serve anche qualcosa di ulteriore. Per esempio, l’agevolazione di un dialogo sulla sicurezza regionale, anche a fronte di un parziale ritiro statunitense che i Paesi del Golfo stanno percependo in modo fortemente negativo. L’Ue ha la necessità quindi di aumentare la sua presenza. “Nomineremo un inviato speciale dell’Unione europea per la regione del Golfo, perché sappiamo che le questioni di sicurezza in quest’area, nel Medio Oriente in generale, sono molto importanti per noi. Non solo per l’Iran. Si pensi alla guerra in Yemen, ad esempio. Non solo per l’energia, ma perché in questa regione la transizione verso un’economia verde sarà uno degli aspetti più importanti per noi, per loro e per l’umanità”, ha dichiarato Borrell a conclusione del vertice di febbraio 2022.

A questo potrebbero unirsi una rappresentanza dell’Ue in Qatar e in Oman e la formalizzazione di un ambasciatore dell’Ue presso il Gcc. E se esistono già i dialoghi di preparazione per una Camera di commercio dell’Ue nel Golfo – tramite cui facilitare i rapporti commerciali – l’Europa è anche chiamata ad aumentare la sua presenza attraverso missioni di sicurezza come quella lungo lo Stretto di Hormuz (Emasoh) o quella nel Golfo di Aden (Atalanta). “Questi sforzi sono importanti in quanto consentiranno all’Ue di diventare più visibile nel Golfo e contribuiranno a rafforzare la coesione dell’Ue sul campo”, facevano notare Timo Behr e Saskia van Genugten in un’analisi per il Middle East Institute. “Tuttavia, resta da vedere se i paesi del Golfo ricambieranno potenziando la propria rappresentanza diplomatica a Bruxelles, dove la direzione attuale è mista. Al momento, non tutti i paesi del Golfo hanno una missione separata presso l’Ue e il numero di diplomatici del Golfo accreditati presso l’Ue rimane relativamente limitato”. Su tutto, pesa anche la questione collegata al Qatargate, che richiede una fase di decantazione.

Come spingere la cooperazione

La nomina di Di Maio diventa un fattore di carattere politico che si dovrebbe portare dietro consultazioni su questioni multilaterali e riunioni ministeriali settoriali a sostegno di un nuovo meccanismo di cooperazione in materia di maritime security, che l’Ue vorrebbe costruire (anche su input Nato), nonché una cooperazione rafforzata in materia di lotta al terrorismo, contrasto all’estremismo violento e sicurezza informatica. Ma anche un facilitatore, attraverso una maggiore rappresentanza diplomatica, di scambi people-to-people, che da entrambe le regioni vengono individuati tra i motori delle relazioni internazionali e che potrebbero essere aggancio per lo sviluppo di lati carenti dell’attenzione europea, come quello della cooperazione nel campo della ricerca e dell’innovazione.

Quest’ultima rischia di essere un’occasione persa, paradigmatica delle difficoltà ancora da superare. I paesi del Golfo si stanno affermando come leader in diverse aree come l’intelligenza artificiale, l’economia digitale, la tecnologia alimentare e la biotecnologia, stanno sviluppando piani per la creazione di industrie avanzate, e su questo anche si potrebbe sviluppare la politica dell’Ue ampliando il raggio di quell’approccio. Per esempio, vi si potrebbero agganciare progetti condivisi passanti per iniziative come il Global Gateway e cooperazioni Africa-Ue-Gcc, anche in un ottica di competizione con attività simili lanciate da rivali sistemici come la Cina (vedi la Belt & Road Initiative e le sue diramazioni).

In definitiva, l’Ue sembra lucida nell’aver individuato il crescente peso geo-strategico della regione del Golfo e aver identificato con esso una comunione di destini. Sebbene ci sia molto da fare. Il lavoro dell’Ue, tramite il fulcro giocato dal ruolo che sarà di Di Maio, sarà dunque tutto da centrare nel considerare il Golfo come un soggetto geopolitico capace e individuale, col quale non porsi solo come potenza normativa, ma con il quale costruire relazioni alla pari. La sfida è nel superamento delle differenze nei processi di governance e decisionali che sono stati alla base della mancata implementazione delle connessioni. Un lavoro enorme, un’opportunità altrettanto enorme.

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