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Il ruolo di Erdogan dopo la guerra in Siria e tra gli incastri con la Russia

Oltre al tema ucraino, il primo gancio contingente russo-turco si ritrova alla voce energia: a fine mese verrà inaugurata la centrale nucleare di Akkuyu. Ma va attenzionato anche il quadrante mediterraneo e i suoi riflessi a sud, ovvero nel continente africano dove opera la Wagner, e a nord, ovvero dove la portata delle policies libiche, siriane e nordafricane trovano concretizzazione

Il rapporto nuovo del presidente siriano Bashar Hafiz al-Assad con tutti i player, regionali e non, passa dalla Turchia e dal ruolo multiforme che Ankara riveste, a maggior ragione in un anno elettoralmente significativo come questo. Il leader turco Recep Tayyip Erdogan deve al contempo gestire il ventennio del suo mandato, la delicata fase della ricostruzione post terremoto e i riverberi geopolitici delle sue iniziative, come il via libera all’ingresso della Finlandia (ma non della Svezia) nella Nato. Alla luce di questi elementi è utile scomporre il puzzle sul Bosforo, per analizzarne il perimetro principale. Ovvero il rapporto con la Russia.

Energia

Oltre al tema ucraino, il primo gancio contingente russo-turco si ritrova alla voce energia: a fine mese verrà inaugurata la centrale nucleare di Akkuyu, primizia assoluta del Paese, alla presenza probabilmente del presidente Vladimir Putin. Potenzialmente sarà in grado di produrre 35 miliardi di chilowattora (kWh) di elettricità all’anno e soddisfare circa il 10% del fabbisogno elettrico nazionale. Si tratta del primo progetto di centrale nucleare al mondo implementato attraverso un modello build-own-operate. Il player russo Rosatom ha assicurato la progettazione, la costruzione, la manutenzione, il funzionamento e lo smantellamento della centrale.

La questione è centrale per i destini economici del Paese in quanto, in attesa di capire la portata delle scoperte nei giacimenti del Mar Nero, al momento la Turchia importa il 98% del proprio gas: ragion per cui l’asse con Rosatom al momento è vitale. Come vitale è capire quanto l’annuncio putiniano di voler trasformare la Turchia in un hub del gas sia realistico, considerata l’assenza pressoché totale di infrastrutture (dirette e indirette).

Due mesi fa Ankara ha siglato un accordo con Sofia: per 13 anni il distributore nazionale bulgaro di gas Bulgargaz avrà accesso a cinque terminali Gnl turchi oltre alla rete di gasdotti del Paese, gestita dalla società statale Botas. Una connessione non da poco, che si somma idealmente a quella già in essere tra Grecia e Bulgaria con il gasdotto Igb. In sostanza, osservando i principali punti cardinali e geopolitici del Mediterraneo, è possibile immaginare le future direttrici di marcia per quanto concerne alleanze e relazioni sulla scorta del gas e di come i giacimenti presenti nel Mediterraneo orientale saranno complessivamente sfruttati.

Mediterraneo

Ecco perché il secondo grande aspetto delle relazioni turco-russe tocca il quadrante mediterraneo e i suoi riflessi a sud, ovvero nel continente africano dove opera la Wagner, e a nord, ovvero dove la portata delle policies libiche, siriane e nordafricane trovano poi concretizzazione come effetti prodotti.

Punto di partenza il Mar Nero: lo stretto del Bosforo che attraversa Istanbul e le acque sovrane turche è chiuso alle fregate a causa della guerra, ma la Russia ha utilizzato navi mercantili per spostare rifornimenti bellici attraverso lo stretto. Il caso della Sparta IV lo dimostra: è di proprietà della SC South LLC, una società di spedizioni con sede in Russia coinvolta nel trasporto di attrezzature militari e sanzionata dal governo degli Stati Uniti nell’ambito delle iniziative internazionali post invasione dell’Ucraina. Prima di entrare nel Bosforo, la nave è stata osservata mentre navigava scortata da una corvetta missilistica russa.

Ma non è tutto, perché due giorni fa la Turchia ha negato il consenso dello Stato di bandiera all’ispezione della Mv Kosovak richiesta dalla missione Irini in conformità con la direttiva Unscr 2292 sull’embargo di armi per la Libia: la notizia è stata certificata da un tweet di Eunavfor Med Irini che lascia aperti i dubbi sulla postura erdoganiana in quel Paese.

In Libia Erdogan rappresenta un’incognita, dal momento che la Nato ha tutto l’interesse a contrastare il potere della Wagner in un’ottica di stabilizzazione istituzionale. Per questa ragione il generale Khalifa Haftar dialoga con emissari americani proprio per capire come muoversi in questa nuova ottica, dove Erdogan non intende fare passi indietro, nonostante quello fatto in avanti sulla Finlandia nella Nato.

In questo senso vanno letti una serie di elementi che si intrecciano sull’asse russo-turco: Ankara punta a mantenere fermo il controllo dell’esecutivo di Tripoli anche grazie all’intervento dei mercenari siriani; il premier libico Abdel Hamid Al Dabaiba è sì pressato dai militari, ma con quell’ombrello teleguidato dal Bosforo può farsi garante degli accordi libico-turchi che premiano la Turchia con la Zona economica esclusiva del Mediterraneo centrale; infine la Wagner in Libia non è una presenza da poco, anche in virtù delle quattro basi da cui può operare e, conseguentemente, non è detto che Putin assecondi Erdogan a queste latitudini.

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