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Perché l’attacco israeliano in Libano preoccupa il Mediterraneo allargato

Il raid in Libano rappresenta la traiettoria della possibile espansione del conflitto interno a Israele. Gruppi palestinesi, Hezbollah, milizie sciite, Iran fanno parte di un sistema che mira a destabilizzare Gerusalemme, col rischio di uno scontro regionale

Durante la notte tra il Giovedì Santo (giovedì 6 aprile) e il Venerdì le forze armate israeliane hanno lanciato alcuni raid in Libano meridionale. L’obiettivo dichiarato dell’operazione erano postazioni utilizzate da Hamas, che è stata anche colpita nella roccaforte che l’organizzazione jihadista palestinese amministra, Gaza. L’azione è una risposta immediata al lancio di razzi dal territorio libanese verso quello israeliano avvenuto poche ore prima, e tutto si inserisce nell’ambito di tensioni crescenti all’interno di Israele. Tensioni che si stanno estendendo al Libano, coinvolto in vario modo nella questione israelo-palestinese, che a sua volta sta tornando un elemento di carattere regionale – come dimostra anche l’interessamento mostrato dalla Turchia.

Perché il Libano

I razzi lanciati dal Libano verso Israele sarebbero stati oltre trenta (per ora). Sebbene siano stati quasi tutti intercettati dal sistema di difesa aerea, non ne erano arrivati mai così tanti dal 2006. Ossia dall’anno della guerra tra Israele e Hezbollah, l’organizzazione politico-militare jihadista sciita che intanto in questi ultimi 17 anni ha acquisito un ruolo sempre più centrale nel Paese, incrostando i gangli del potere economico, politico e militare, e muovendosi come uno stato nello stato. Ruolo ottenuto anche grazie all’aiuto iraniano, anche se Hezbollah è ormai un’entità con un’agenda propria che ascolta ciò che dettano i Pasdaran soprattutto quando coincide con i propri interessi — spesso.

Hezbollah controlla la porzione meridionale del Libano come un feudo, presente nel tessuto sociale territoriale al punto che è quasi impossibile che non fosse d’accordo con Hamas nel fornirgli postazioni di attacco – e probabilmente anche qualcosa in più, in termini logistici e operativi. L’attacco israeliano segue dunque un lineamento noto: la ritorsione immediata contro i gruppi armati palestinesi, così come il tentativo di bloccare eventuali punti di attacco logistici fuori dal Paese, come per esempio avviene in Siria e in Iraq. Ma ha la particolarità di essersi svolto in Libano, dove accede a ulteriori sensibilità.

Narrazioni e interessi

Hezbollah è parte sostanziale del mondo politico e sociale libanese, riceve consenso e manovra all’interno della macchina istituzionale. Per questo il governo israeliano ha già in passato messo in chiaro che eventuali attacchi dell’organizzazione verranno considerati come una dichiarazione di guerra dell’intero Libano. Tuttavia dietro a questa posizione esistono meccanismi di guardrail, come per esempio perimetrare l’azione della notte scorsa a “postazioni di Hamas”, ossia evitando di menzionare il possibile coinvolgimento di Hezbollah nella vicenda per evitare di accedere a situazioni di gravità superiore. Di fatto Israele ha accettato la versione dei libanesi, che hanno fatto arrivare un’informazione ai rivali oltre confine: dei razzi non ne sapevamo niente.

Allo stesso tempo, tuttavia, come fonti del comparto sicurezza iraniana hanno spiegato in vari briefing a cui Formiche.net ha partecipato, gli israeliani sono perfettamente persuasi che in questa fase lo stato ebraico sia oggetto di un accerchiamento coordinato, essenzialmente guidato dall’Iran – lato Pasdaran. Il corpo militare teocratico di Teheran è in qualche modo un collante che mette insieme Hezbollah e i gruppi armati palestinesi come Hamas o il Jihad islamico palestinese (Pij) e formazioni minori ma altrettanto operative. L’Iran nega questo genere di contesto, anche se soltanto renderlo immaginabile fa parte della narrazione che la Repubblica islamica lancia contro lo stato ebraico.

Provocazione iraniana?

“L’aumento delle tensioni tra Israele e Hamas durante la festività della Pasqua ebraica, che ha portato ad attacchi missilistici dal Libano e da Gaza e a rappresaglie, sembra essere l’ennesimo ciclo di conflitto che ha origine dalle minacce dell’Iran contro Israele”, spiega Seth Frantzman, columnist del Jerusalem Post, che rievoca qualcosa di simile successo nell’aprile 2021 (quando esplose un’analoga serie di scontri che ha incluso anche una guerra di 10 giorni a Gaza e attacchi con razzi dal Libano).

Chi segue le evoluzioni di questo genere di tensioni ha evidenziato già che ci sono stati alcuni passaggi recenti che anticipavano i fatti. Per esempio, l’attentatore che a metà marzo ha piazzato l’esplosivo all’incrocio di Megiddo, appena a nord della Cisgiordania, era entrato in Israele dal Libano. O ancora, nei giorni scorsi il leader di Hamas, Ismael Haniyeh, era andato a Beirut per incontrare la guida spirituale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, e membri della Jihad islamica palestinese. Si è anche fatto fotografare con alcuni miliziani della Brigata Qassem nel sud del Libano: i membri di quella che viene considerata una sorta di forza speciale di Hamas erano probabilmente nel Paese per attività logistiche o addestrative con Hezbollah, visto che l’organizzazione palestinese sta pianificando di aumentare le capacità di attacco dal fronte settentrionale di queste unità.

Il contesto regionale

Contemporaneamente, diversi scontri ci sono stati in Siria, con le milizie sciite che hanno colpito una base statunitense e gli israeliani che hanno bombardato nei dintorni di Aleppo e Homs. Si tratta di operazioni non uniche nel loro genere, ma tuttavia particolari per tempistiche e intensità. Anche perché in quelle settimane Iran e Arabia Saudita stavano sbandierando l’Accordo di Pechino per le normalizzazioni delle relazioni diplomatiche – ma evidentemente qualche componente dell’élite della Repubblica islamica continua a preferire il confronto a bassa intensità con Israele e Usa, guidando le milizie come vettori di queste tensioni.

“Non è chiaro se Israele sia caduto in una sorta di ‘trappola’ messa in atto dall’Iran”, spiega Frantzman. “Tuttavia, è chiaro che le tensioni del 2021 e del 2023 sono simili e che l’Iran cerca di trarne vantaggio. I media iraniani, ad esempio, si vantano della ‘resistenza’ contro Israele”. D’altronde, il fatto che gruppi sostenuti dall’Iran come Hamas e il Pij dicano apertamente di essere pronti ad affrontare Israele fa parte della retorica amplificata dai media iraniani. Il coinvolgimento di Hezbollah è altrettanto chiaro perché i libanesi hanno ospitato il leader di Hamas mentre i razzi venivano preparati per essere lanciati contro Israele e inoltre i razzi sono stati lanciati da un’area controllata da Hezbollah.

Gli interessi italiani

Tutto questo alza un alert di carattere regionale sul Mediterraneo allargato, dunque il dossier diventa parte dell’interesse anche dell’Italia. Libano e Israele “non vogliono una guerra”, ha assicurato in un comunicato la Forza di interposizione in Libano delle Nazioni Unite (Unifil) dopo contatti tra le due parti. Le forze di pace hanno invitato “tutte le parti a cessare ogni azione” su entrambi i lati del confine. “Il Libano è uno snodo fondamentale per la stabilità regionale e dell’intero Mediterraneo. In queste ore difficili è necessario ancora maggiore impegno per pace e sicurezza regionale affinché la situazione non degeneri”, ha detto il ministro della Difesa Guido Crosetto che è nel Paese per passare il Venerdì Santo con il folto contingente italiano impegnato nella Missione Militare Bilaterale Italiana in Libano (Mibil).

Il Libano è in condizioni economiche disperate, e questo sta anche minacciando la stabilità dei servizi militari e di sicurezza, in quanto il personale di sicurezza in servizio vede crollare il valore dei propri stipendi. “Gli stipendi del settore pubblico, compresi quelli dei militari e delle forze armati, i riducono di giorno in giorno”, ha detto Sami Nader, direttore dell’Istituto del Levante per gli Affari Strategici, parlando con Axios nei giorni scorsi. I militari regolari stanno iniziando secondi lavori, disertando i ranghi. Ma l’esercito funge da forza stabilizzatrice per controllare le faide settarie del Paese ed è da tempo un partner fondamentale per i Paesi occidentali, in quanto è in grado di fare da contrappeso a Hezbollah. Senza questo bilanciamento le attività dell’organizzazione e degli interessi collegati dilagano incontrollate.

Il Fondo Monetario Internazionale ha offerto al Libano un pacchetto di salvataggio da 3 miliardi di dollari, condizionato a una serie di riforme strutturali e finanziarie. Il problema è che il Paese vive un vuoto istituzionale, senza un presidente o un gabinetto esecutivo con poteri limitati. Questo ha prodotto uno stallo sulle riforme – richieste da anni per aiutare a rilanciare l’economia deteriorata, anche per colpa dell’enorme corruzione (uno degli ambiti di sostentamento di Hezbollah). Senza una soluzione politica all’orizzonte, è probabile che la sterlina continui a salire e con essa gli stipendi del personale di sicurezza e dei lavoratori del settore pubblico. Dunque la situazione potrebbe ulteriormente deteriorsi.

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