“La visita ad Ankara? Va letta anche in parallelo a quanto accade in Cina, con Macron e Von der Leyen: da entrambe le parti, quella russa e quella europea, vedo la volontà di cercare una via di uscita”. Intervista all’ambasciatore, già rappresentante permanente per l’Italia a Bruxelles
“La visita di Lavrov ad Ankara va letta anche in parallelo a quanto accade in Cina, con il viaggio di Macron e di Von der Leyen: da entrambe le parti, quella russa e quella europea, vedo la volontà di capire e capirsi”. Così a Formiche.net l’ambasciatore Rocco Cangelosi, già rappresentante permanente per l’Italia a Bruxelles e consigliere diplomatico del presidente Giorgio Napolitano, scompone il puzzle diplomatico in corso sull’asse Mosca-Ankara anche in riferimento a fronti aperti come la guerra, la via del grano, le relazioni sino-europee e con la Siria.
Le parole del ministro degli esteri russi Sergei Lavrov prima della visita ad Ankara (“i rapporti con Usa vanno mantenuti”) assumono un peso specifico anche rispetto al teatro bellico in corso?
Mi sembra una dichiarazione self explaining, nel senso che non si può prescindere da un rapporto con gli Stati Uniti se si vuole giungere ad una una via di uscita sull’Ucraina. Si tratta, a mio avviso, di un’affermazione molto chiara secondo cui il ministro si dice disponibile a cercare vie di mediazione. Con Washington occorre mantenere un canale.
Il fatto che sia Lavrov che Miller (numero uno di di Gazprom) siano visti come gli anti falchi dell’inner circle putiniano e del futuro establishment russo, è una lettura verosimile?
La visita di Lavrov va letta anche in parallelo a quanto accade in Cina, con il viaggio di Macron e di Von der Leyen: da entrambe le parti, quella russa e quella europea, vedo la volontà di cercare una via di uscita. In questo senso chiaramente devono agire le colombe e non i falchi. La lettura che mi sento di offrire riguardo al ruolo di Lavrov nella vicenda è di mantenere vivo il canale diplomatico con Erdogan che, sin dall’inizio, si è sempre voluto assegnare il ruolo di mediatore. Naturalmente Lavrov alimenta questa strada che però non è l’unica.
Ovvero?
Se arriveremo ad una trattativa, perché parlare di accordo di pace è troppo presto, sarà necessario che tutti gli interlocutori più importanti siano al tavolo, mi riferisco a Russia, Cina e Stati Uniti. Da loro dipenderà in definitiva il raggiungimento di un possibile accordo di pace.
Come sta cambiando il ruolo di Erdogan anche in riferimento alla guerra in Siria, alla luce degli incastri con la Russia? La visita di Lavrov può essere inserita in un quadro di ricomposizione delle relazioni da parte di Assad?
Indubbiamente sì. Il Presidente turco si trova adesso in un momento di debolezza alla vigilia delle elezioni politiche e, quindi, cerca di rafforzare la sua immagine anche con questo suo ruolo di pacificatore. In questo quadro la visita di Lavrov come suggerito nella sua domanda può contribuire a una ricomposizione dello scenario siriano. Una situazione meritevole di grande attenzione anche da parte della Ue.
La possibilità che anziché gli F-16 americani la Turchia possa pensare di acquistare i J-10 cinesi è un elemento di ulteriore destabilizzazione anche in orbita Nato?
Abbiamo già visto nel recente passato come la Turchia abbia assunto posizioni molto disinvolte per quanto riguarda gli acquisti militari: non ha esitato con il sistema S-400 russo, in contrapposizione alla fedeltà alla Nato. Per cui se i caccia cinesi dovessero offrire un vantaggio strategico ed economico, credo che Erdogan non esiterebbe.
Con quali conseguenze?
Da parte russa non sarebbe visto di buon occhio, ma saremmo in un quadro più di concorrenza di industria militare che di alleanze perché, come sappiamo, Turchia, Russia e Cina sono caratterizzate da una politica comune in determinati scenari, in particolare per quanto riguarda la Siria, i rapporti con l’Iran, le conseguenze sulle mosse di al-Qaida. Alla luce di ciò, credo che la politica turca si muova con una certa disinvoltura in questo quadrante: da un lato mantiene la sua fedeltà alla Nato perché Erdogan sa bene che non può prescindere da questa alleanza; dall’altro gioca tutte le sue carte sul dopo-Finlandia. Ha rimosso il primo veto e, quando avrà avuto alcune assicurazioni, rimuoverà anche quello sulla Svezia.
Blinken e Tajani hanno discusso non solo di nuove sfide nella Nato, ma anche di come due dossier come Africa e Cina impattano sulle future politiche dell’Alleanza. Cosa ne pensa, anche alla luce della pressione del gruppo Wagner nel Centrafrica e del dossier energetico/elettrico che impatta sull’asse Pechino-Bruxelles?
L’Africa certamente impatta sulla politica Nato, lo dimostra l’azione di Wagner in settori per noi molto importanti, come la Libia e il centro Africa. Mosca sta conducendo una sua politica ad hoc e anche la Cina per altri versi ha influenza nel continente africano, determinata da necessità strategiche, economiche e sociali. La Nato naturalmente deve tener conto di questa posizione che si è andata delineando negli ultimi anni. Sulla Cina influisce il rapporto con gli Stati Uniti, passaggio di cui la Nato non può prescindere: il concetto strategico della Nato tende ad allargarsi. Ovvero a non essere più un’alleanza difensiva che riguarda i Paesi facenti parte dell’alleanza, ma una configurazione che si proietta al di fuori del campo di azione tradizionale. Questo vale per l’Africa e può valere anche per la Cina se la situazione strategica e militare dovesse evolvere negativamente per quanto riguarda la minaccia nei confronti dei Paesi dell’alleanza.
Foto dal profilo Twitter del ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu – https://twitter.com/MevlutCavusoglu