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La differenza tra libertà e liberazione. Una riflessione sulla cultura italiana

Per coloro che l’hanno resa possibile, la liberazione dal nazifascismo ha rappresentato sicuramente un obiettivo a sé stante, ma anche un obiettivo necessario per poter perseguire altri scopi: è a questi ultimi, è alle speranze e agli obiettivi che chi ha lottato per la liberazione bisognerebbe guardare per poterne davvero apprezzare l’operato. Il commento di Stefano Monti, partner di Monti&Taft

Una delle frasi più celebri dell’economia, pronunciata dal premio Nobel Amartya Sen, distingue due tipologie di libertà: la libertà di e la libertà da.

Da sempre, nel nostro Paese, la riflessione sulla libertà assume dei connotati strettamente semantici: l’italiano ad esempio, è una delle poche lingue a distinguere liberismo da liberalismo, azione lessicale con la quale si è inteso da sempre distinguere l’aura filosofico-ideologica del liberismo dalla meno nobile arte del liberalismo, termine con il quale si identifica la visione economica liberale.

In questo contesto, distinguere tra libertà e liberazione acquisisce una funzione essenziale: la liberazione libera “da”. È un’azione di doppio negativo: quando ci si libera da qualcosa si riducono dei vincoli. Azione sicuramente importante, soprattutto nella memoria storica condivisa di tutti i popoli, ma che nulla dice della libertà positiva, e vale a dire quella libertà “di” che, al contrario della libertà “da” è quella che maggiormente esprime un concetto di espansione.

Sono concetti per nulla astratti, e facilmente riscontrabili nella nostra vita di tutti i giorni. Nel nostro quotidiano capita spesso di cercare di liberarsi da un impegno per poter avere il tempo (la libertà) di incontrare un amico che non vediamo da tempo.

Liberarsi da è quindi un’azione volta a determinare una condizione necessaria ma non sufficiente per poter essere liberi.

Con ciò non si intende in alcun modo la rilevanza di tale azione, che, come detto, non è “importante” è “necessaria”.

Né tantomeno si intende sottintendere una relazione funzionale, e vale a dire affermare che la libertà “da” perda rilevanza in assenza di una libertà “di”.

Si intende, più banalmente, affermare che non esista un miglior modo del celebrare la conquistata “libertà da”, se non quello di perseguire e costruire una libertà di.

Tornando alle condizioni da cui è sorta tale riflessione, i toni e le dichiarazioni che sono state rilasciate in occasione della Festa della Liberazione, sembra non siano in grado di riflettere appieno l’importanza dell’episodio celebrato in una logica evolutiva.

La ricorrenza dalla liberazione della città di Milano, in seguito scelta come data dalla liberazione dal nazifascismo, celebra una libertà “da”, che è stata poi onorata con una serie di azioni che ne hanno amplificato il valore: da quella data l’Italia ha approvato suffragio universale, nominato l’assemblea costituente e scelto di divenire una Repubblica.

Oggi, con ogni probabilità, molti italiani festeggiano il solo giorno di festa, altri utilizzano questa ricorrenza come valore identitario, in alcuni casi rischiando di strumentalizzarne i contenuti, in una logica di convenienza partitica, più che politica.

Pochi, a dire il vero, e ancor meno tra i nostri rappresentanti politici, colgono davvero la spinta evolutiva che bisognerebbe probabilmente porre al centro della festività del 25 aprile.

Pochi sono stati i discorsi che hanno cercato di identificare quelle condizioni che permetterebbero all’Italia e agli italiani di raggiungere nuovi livelli di libertà. La libertà di poter scegliere una professione adeguata; la libertà di poter progettare un progetto di vita affidabile; la libertà di poter decidere se restare nel proprio Paese senza dover essere costretti a tentare una qualsivoglia carriera all’estero; la libertà di poter vivere in contesti urbani sostenibili, inclusivi, culturalmente stimolanti; la libertà di poter partecipare attivamente alla costruzione della società.

Per coloro che l’hanno resa possibile, la liberazione dal nazifascismo ha rappresentato sicuramente un obiettivo a sé stante, ma anche un obiettivo necessario per poter perseguire altri scopi: è a questi ultimi, è alle speranze e agli obiettivi che chi ha lottato per la liberazione bisognerebbe guardare per poterne davvero apprezzare l’operato.

Altrimenti si rischia di confondere la memoria con il souvenir.


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