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Migranti, Pnrr e… cultura politica. Le sfide per l’Italia di domani secondo Sisci

Mentre gli orizzonti di instabilità mondiale si fanno sempre più foschi, la più grande incertezza di medio termine che grava sul Paese è una questione istituzionale enorme, che rende difficile anche l’ipotesi della riforma presidenziale

Ci sono due problemi che assillano l’Italia, che sfuggono ai partiti e che andrebbero gestiti in maniera innovativa. Si tratta dell’immigrazione e del Pnrr. Dopo la strage dei naufraghi a Crotone, le priorità e l’approccio sulla questione migranti del governo sono cambiati. Non è più un’urgenza che deve essere risolta all’ultimo miglio della frontiera ma una faccenda di lungo termine da affrontare a iniziare con una fitta rete di rapporti internazionali. Ciò significa che è una questione di politica estera da risolvere nel corso di molti anni e quindi ha e avrà bisogno di continuità tra vari governi e non può essere soggetta a interruzioni o cambi di direzione improvvisa, capricci di questo o quel ministro. Ci vuole allora un accordo generale tra governo e opposizione oggi e in futuro almeno sulle linee generali.

Altro poi è l’accoglienza dei migranti, come sottolineava il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato della Santa Sede, a una recente presentazione di un libro di padre Antonio Spadaro. È per motivi umanitari ma anche per ragioni economiche. Manca infatti forza lavoro e il flusso di migranti sopperisce alle carenze di oggi che probabilmente continueranno a esserci in futuro. Quindi bisogna pensare di integrare, “italianizzare” questi immigrati perché contribuiscano positivamente e non distruggano il tessuto sociale del Paese.  Ciò richiede un’opera sistematica e di lungo termine che di nuovo non po’ essere data in ostaggio alle polemiche quotidiane. Da ciò, un incrocio di politiche interne ed estere, sociali e culturali, dipende la natura del Paese fra dieci o vent’anni.

Invece, una faccenda più immediata è diventato il Pnrr. Infatti è chiaro che solo una piccola porzione degli aiuti siano stati spesi. Inoltre anche nei quattro anni successivi non sarà facile spendere la montagna di denaro che arriverà in Italia. La questione è pressante, come ha sottolineato Francesco Giavazzi in un recente colloquio a Lodi e in un’intervista con Lucia Annunziata. Infatti venerdì scorso il presidente Sergio Mattarella ne ha parlato con il presidente del Consiglio Giorgia Meloni. I circa 200 miliardi da spendere in quattro anni significano circa 3% di prodotto interno lordo in più all’anno. Così si potrebbe avere una crescita del prodotto interno lordo tra il 12 e il 25% nei quattro anni, con una riduzione forse sostanziale della percentuale di debito pubblico sul prodotto interno lordo. Se aumenta il denominatore, il prodotto interno lordo, e quindi diminuisce il nominatore, il debito, tutta la situazione del Paese potrebbe migliorare. Ciò poi potrà significare migliori tassi di credito, più bassi tassi di interessi sui prestiti e via di seguito. L’altra faccia della medaglia però è che se i soldi non saranno spesi la fiducia dell’Europa e del mondo verso l’Italia diminuirà in proporzione, con conseguenze difficili da computare. Ancora: se i soldi non sono spesi ma i tassi di interesse crescono, per l’inflazione in corso, e il prodotto interno lordo non sale allora aumenta il numeratore-debito, rispetto al denominatore-prodotto interno lordo. Quindi l’Italia potrebbe fare fatica a pagare gli interessi e questo innescherebbe un circolo vizioso anche qui con conseguenze difficili da prevedere.

Su questi due temi l’opposizione non ha fatto le barricate, giustamente, pensando forse anche che a ruoli invertiti non avrebbe soluzioni facili da proporre.

Né è utile cercare di dare la colpa di questo al governo di Mario Draghi. Egli gode ancora di fiducia internazionale e chi lo accusa potrebbe oggi invece vedersi emarginato. Inoltre anche se fosse tutto vero ciò non cambierebbe la questione. Al di là di chi abbia avuto colpe in passato, nel presente bisogna affrontare e superare i problemi. Questo è il compito del governo, non cercare colpevoli. Perciò su tali temi il parlamento non si può dividere, deve trovare una nuova unità come e più di quella che trovò nelle prime fasi del governo Draghi. È impensabile deporre Meloni e inventarsi un nuovo governo tecnico, ma è altrettanto impensabile continuare in uno stato di confusionale.

Che fare allora?

L’Italia è Paese formalista, e quindi quando propone una soluzione sulla carta, una legge nuova, sente, crede di avere risolto il problema. Spesso non è così, anzi. L’Italia (cioè questo governo e questo parlamento) allora deve trovare soluzioni sostanziali per realizzare il Pnrr il più velocemente possibile e affrontare in sostanza la complessità della questione immigrazione. L’Italia, al di là dei suoi formalismi, poi è anche un Paese pratico, che si inventa soluzioni all’ultimo minuto. Di questo ha bisogno oggi, per un periodo di tempo piuttosto lungo e con perseveranza, ritmo e pazienza, come si corre una maratona. Non è uno scatto da cento metri.

Il compito sostanziale di portare avanti il tutto è già sul tavolo di Mattarella, come si è visto, il che sembra sottolineare il bisogno di una riforma presidenziale, ma forse non è così, anzi. Mattarella si muove in queste acque perigliose con attenzione e prudenza, il che è nei suoi poteri ma riflette anche la sua personalità individuale. Un’altra persona in quel posto, con gli stessi poteri reali, in questa confusione, senza la sua prudenza, avrebbe probabilmente fatto disastri. Il che significa che la persona Mattarella non è facilmente sostituibile come presidente, e infatti è stato rieletto. Ciò è ottimo per l’Italia ma procedendo nel futuro pone una questione istituzionale enorme e rende difficile anche l’ipotesi della riforma presidenziale. Un capo dello Stato con tanti poteri e avventato, in uno Stato sbandato, porterebbe a un caos peggiore di quello della Francia attuale. Il problema non sono i poteri ma la cultura politica profonda, che sembra mancare. Allora, la politica deve attrezzarsi e riformarsi in maniera sostanziale, non formale, perché non può rendere Mattarella indispensabile a ogni passo. Eppure non lo ha fatto fino ad adesso e non è chiaro se lo farà domani. Questa forse la più grande incertezza di medio termine che grava sul Paese, mentre gli orizzonti di instabilità mondiale si fanno sempre più foschi.


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