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La propaganda di Stato cinese difende TikTok. Una conferma del legame con Pechino

Un report dell’Alliance for Securing Democracy evidenzia come, mentre il ceo dell’app Shou Zi Chew era sotto torchio a Capitol Hill, i funzionari del governo cinese hanno inondato Twitter di insulti contro i colleghi americani, denigrando Washington e ammettendo indirettamente quanto sia forte il legame tra la componente governativa e la piattaforma di video virali

I tweet pubblicati dai funzionari del governo cinese, nei giorni a ridosso dell’udienza del Ceo di TikTok Shou Zi Chew a Capitol Hill, sono stati superiori a tutti quelli postati nei primi due mesi dell’anno. Circa duecento i primi, centocinquanta in totale i secondi. Allo stesso tempo, gli account dei media statali come il China Daily hanno pubblicato una trentina di storie propagandistiche su TikTok, mentre la parola più utilizzata, “Cina”, è stata utilizzata il 50% in meno di “Stati Uniti“. A dirlo è un’indagine dell’organizzazione no-profit Alliance for Securing Democracy, mettendo in evidenza la relazione che lega Pechino all’app di ByteDance, diversamente da quanto affermano le autorità cinesi.

“Ciò che gli Stati Uniti dovrebbero fare è smettere di diffamare, calunniare e provvedere un clima commerciale equo, giusto, aperto e non discriminatorio per le aziende di tutto il mondo”, era il monito del ministero degli Esteri. Un tentativo di discolparsi, accusando la controparte di voler vedere sempre il marcio dietro le proprie azioni. Certo è che, su TikTok, la questione è piuttosto nebulosa.

Arma di propaganda in mano al Partito comunista cinese (Pcc) o una delle tante piattaforme social? Ci sono informazioni che possono avvicinarsi a una risposta, come quelle del report prima citato. Mentre l’amministratore delegato era messo sotto torchio dai deputati del Congresso americano, su Twitter sono iniziati a circolare alcuni commenti contro questi ultimi.

“Vecchi analfabeti tecnologici” o “fuori controllo, paranoici e ipocriti” sono alcuni dei messaggi rivolti contro un’udienza che “ha distrutto l’illusione degli Stati Uniti a guida dell’era cibernetica”. Altri definiscono i legislatori americani addirittura xenofobi, un’anomalia nei toni cinesi: duri sì, anche tanto, ma mai offensivi.

Una situazione nuova, che riflette quanto il governo di Pechino ci tenga a sostenere la sua estraneità ma che, contrariamente alle sue intenzioni, finisce indirettamente per confermare l’interesse che questo ha per l’app. Forti dei 150 milioni di utenti che hanno in America, le autorità cinesi hanno puntato a screditare la politica statunitense, colpevole di voler togliere alle giovani generazioni la loro app preferita.

Oppure, come rilevato dal New York Times, hanno paragonato l’accoglienza riservata dagli Stati Uniti a Chew e quella della Cina a Tim Cook, amministratore delegato di Apple che si trovava in quelle stesse ore nella terra del Dragone. Mentre il primo era palesemente stressato dai padroni di casa, l’americano girava sorridente per le strade scattando foto con alcuni cittadini. “Non è chiaro quale parte sostiene il libero scambio e quale è contraria?”, si è domandato retoricamente l’altro megafono del governo cinese, il Global Times, sempre seguito da China Daily. “Gli Usa affermano che la Cina può spiare con TikTok, […] ma loro spiano il mondo con Google”.

Questioni di prospettive, verrebbe da dire, ma forse è più una vicenda di propaganda. Per riassumere con i punti dell’Alliance for Securing Democracy, utilizzando Twitter – un social di San Francisco, quello preferito dalle autorità del governo cinese – Pechino ha amplificato le dichiarazioni del Ceo di TikTok per ribattere la narrazione negativa dipinta dagli americani; ha evidenziato la popolarità della sua app e gli effetti che si avrebbero con un suo eventuale divieto; ha denigrato i legislatori statunitensi e l’intero sistema politico a stelle e strisce; ha relegato le critiche a TikTok come xenofobia.

“Quando si tratta di argomenti scottanti che coinvolgono attori autocratici”, sottolinea l’organizzazione nel report, “può essere difficile distinguere tra argomenti organici e argomenti derivanti dalla propaganda autocratica, anche in spazi di informazione aperti e democratici”. E quindi, “se i dibattiti geopolitici dovessero verificarsi su piattaforme di social media di proprietà cinese come TikTok, potrebbe diventare ancora più difficile distinguere tra argomenti organici e di propaganda”.


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