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La Repubblica italiana nasce sulla premessa di antifascismo, senza equilibrismi

La politica ha bisogno che la storia tiri una riga, perché bisogna proiettare il Paese nel futuro, e l’interesse nazionale deve prevalere. L’analisi di Francesco Sisci

Il generale che vinse nel 1918 la Prima guerra mondiale per i Savoia, Armando Diaz, era nato a Napoli il 1861, l’anno dell’unità d’Italia. Era figlio di un ufficiale dell’esercito dei Borbone, la dinastia che governava il meridione ed era stata spazzata via dai Savoia.

Tra le due date ci sono 57 anni, ma né Diaz né alcun altro sollevava più la questione del ritorno dei Borbone da tempo.

La guerra di civile resistenza anti piemontese si era protratta nel sud per oltre un decennio ma in realtà a partire dalla metà degli anni 1870, dopo la fine del conflitto, la questione culturale filo borbonica era sparita.

Tra oggi e la caduta del fascismo in Italia sono passati 78 anni, 21 in più delle vicende di Diaz. La Repubblica nasce sulla premessa di antifascismo, come il regno sabaudo nasceva antiborbonico.

Eppure tanti politici del governo attuale dicono ancora, quello che in termini ottocenteschi sarebbe “non posso dirmi antiborbonico”.

Il problema non è stabilire cosa fu giusto allora. Personalmente, oggi se in astratto dovessi scegliere tra Savoia e Borbone forse sceglierei i Borbone, ma non è il punto.

La politica ha bisogno che la storia tiri una riga, perché bisogna proiettare il Paese nel futuro, e l’interesse nazionale deve prevalere. Così non c’è oggi uno stato italiano che non sia antifascista.

Certo, i paragoni storici sono difficili e a volte fuorvianti. Poi gli anni ’60 e ’70 del ‘900 sono stati un periodo difficile e controverso, ma un tempo non era più semplice.

I garibaldini e sovversivi, il siciliano (di origine albanese) Crispi e il calabrese Nicotera, soppressero nel sangue i moti di altri sovversivi appena più giovani di loro, solo 30 anni dopo l’unità. Oggi dagli anni ’70 del ‘900 sono passati 50 anni!

Ciò per dire che non ci sono scuse o infingimenti possibili: il partito di governo Fratelli d’Italia (FdI) deve dirsi con chiarezza e senza equilibrismi, antifascista. Ogni revanscismo fascista deve essere consegnato dove gli spetta, con i nostalgici filo-Borbone, tra le chincaglierie della storia.

È un problema di politica nazionale, che proprio in quanto nazionale dovrebbe stare molto a cuore ai conservatori patriottici di FdI.

Il neo segretario del Pd Elly Schlein ha brillato per assenza polemica sulla delicata partita. Eppure, gli equilibrismi precari del partito di maggioranza relativa su questo tema, anche in assenza di una Schlein pugnace, rivelano una debolezza di fondo che si protrae e rimane inquietante.

Certo, ci si può consolare con l’aglietto, come dicono a Roma, pensando che altri Paesi come Francia o Spagna stanno peggio, ma, di nuovo, non è il punto.

Gli altri avranno tanti problemi ma non hanno il pericoloso rapporto debito/Pil; né sono concentrati sull’esplosiva difficile implementazione del Pnrr; né hanno un forte e controverso “partito filo russo” che soffia su tanti fuochi.
All’Italia potrebbe bastare una curva presa storta per scivolare.

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