La presidenza di Mosca del Consiglio di Sicurezza è ordinaria amministrazione per la prassi diplomatica. Per le Nazioni Unite, è la cartina di tornasole dell’incapacità di assolvere la funzione primaria per la quale sono state create: assicurare la stabilità mondiale. Scrive Stefano Stefanini, già rappresentante permanente dell’Italia alla Nato e consigliere diplomatico del Presidente della Repubblica
No, non era un pesce d’Aprile. La presidenza russa del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non è uno scherzo di cattivo gusto e durerà un mese intero. La presidenza è a rotazione mensile e questo mese è il turno di Mosca. Così funziona – o non funziona – l’Onu, che rimane lo specchio imperfetto dell’imperfetta comunità internazionale. Non resta che accettarlo, e non solo per incallimento diplomatico. Così è se vi pare. Ma sono altrettanto comprensibili le reazioni d’incredulità, non unicamente ucraine. Per il buon senso comune, la presidenza russa del Consiglio di Sicurezza è un ossimoro. Per la prassi diplomatica, è ordinaria amministrazione. Per le Nazioni Unite, è la cartina di tornasole dell’incapacità di assolvere la funzione primaria per la quale sono state create: assicurare la stabilità mondiale. Ma non diamo la colpa all’Onu e teniamocelo stretto per le cose a cui serve.
L’ossimoro balza agli occhi. Il Consiglio di Sicurezza è l’organo dell’Onu cui è affidata “la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale” (articolo 24 della Carta di San Francisco). Oggi, la Russia rappresenta la maggior minaccia alla pace e sicurezza internazionale. Da che ha invaso l’Ucraina il 24 febbraio dello scorso anno, Mosca è in flagrante violazione della Carta (articolo 2, che vieta “la minaccia o uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato”), dell’Atto finale di Helsinki, di specifici impegni internazionali (Memorandum di Budapest). Sorvoliamo pure su dettagli quali le vittime civili di Bucha, la pulizia etnica attraverso la “russificazione” di minori, il mandato di arresto della Corte penale internazionale contro il presidente della Federazione russa, le minacce ricorrenti di uso dell’arma nucleare. Guardiamo alla guerra d’aggressione.
In un’ottica Onu il punto centrale della guerra russo-ucraina è che, come ha detto il segretario generale, António Guterres, “ci sono truppe russe in Ucraina, non ci sono truppe ucraine in Russia”. Di conseguenza, la guerra vede la Russia in violazione dell’articolo 2 della Carta e l’Ucraina nell’esercizio del diritto di legittima difesa (“individuale o collettiva”) riconosciuto dall’articolo 51. Basta questo a fare della presidenza russa del Consiglio di Sicurezza una volpe a guardia del pollaio.
Ciò nonostante, e malgrado le giustificate proteste ucraine, l’impatto sulla guerra e sullo spettro più ampio delle relazioni internazionali sarà trascurabile, se non nullo: ordinaria amministrazione. Per due motivi. Il primo è il tempo: un mese passa presto e in oltre settant’anni di vita il Consiglio è abituato a scrollarsi di dosso presidenze infelici o inadeguate. Secondo, la presidenza ha qualche visibilità ma non poteri autonomi o che, comunque, non possano essere bloccati dagli altri membri, a maggioranza o per veto di un membro permanente – garantito da parte di Stati Uniti, Regno Unito e Francia. Mosca vorrà sicuramente utilizzarla come piattaforma per promuovere la propria visione “multipolare” delle relazioni internazionali, in funzione anti-americana e anti-europea. Non è certo un caso che il lungo documento sulle nuove linee strategiche della politica estera russa sia stato reso pubblico il 31 marzo.
Dalla presidenza russa del Consiglio ci si può pertanto attendere un gran attivismo vocale – il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, è un fuoriclasse del Palazzo di Vetro. Troverà sponda nella Cina e, probabilmente, qualche eco fra alcuni dei dieci membri non permanenti (Ecuador, Giappone, Malta, Mozambico, Svizzera, Albania, Brasile, Gabon, Ghana, Emirati Arabi Uniti), esclusi gli europei e il Giappone. Qui bisogna però distinguere fra quanto la Russia può realizzare nella breve fiammata in Consiglio di Sicurezza – poco, tranne qualche esternazione verbale – e la competizione ideologica per l’ordine (o disordine) internazionale che Mosca vuole innescare, con la solidarietà di Pechino e a scapito dell’Occidente e delle democrazie. Destinatario “il Resto” del mondo, cioè India, Nigeria, Brasile, Golfo, Africa, America Latina, Pacifico… Quest’ultima va presa sul serio – non la stiamo vincendo – ma si gioca in tempi lunghi. Anche alle Nazioni Unite ma non in Consiglio di Sicurezza.
Il Consiglio di Sicurezza è, infatti, paralizzato. Il fatto che uno Stato apertamente aggressore possa presiederlo conferma che pur restando, se funzionasse, l’organo più potente dell’Onu non rispecchia più nemmeno lontanamente né gli equilibri internazionali fra grandi potenze né quel minimo di consenso su regole per mantenere l’ordine internazionale necessario per farlo funzionare. In questo momento il rapporto fra Stati Uniti e Russia è più tossico di quello che esisteva fra Stati Uniti e Unione Sovietica. Finché sarà così, un mese di presidenza del Consiglio di Sicurezza fa ben poca differenza. Tanto ogni volta che si toccano nervi scoperti di grandi potenze il veto è garantito.
Se ne possono trarre due conclusioni. La prima è che, all’Onu, il teatro politico si sposta all’Assemblea generale dove le risoluzioni sono prive di strumenti di attuazione ma hanno valore morale e d’opinione, che diventa importante ai fini della concorrenza ideologica – ormai dichiarata con la Russia, più defilata con la Cina. Le due condanne dell’invasione dell’Ucraina, a larga maggioranza e con Mosca isolata, rappresentano un notevole successo occidentale e europeo. E conta sempre molto tutto il “sistema” Onu: il Consiglio diritti umani, la Corte penale internazionale, le conferenze annuali che portano faticosamente avanti l’agenda cambiamenti climatici, il “polo alimentare” delle agenzie con sede a Roma… la lista potrebbe continuare all’infinito.
La seconda consiste nel prendere atto che, nelle presenti circostanze internazionali, il Consiglio di Sicurezza non può essere un foro di risoluzione delle grandi crisi internazionali. Semmai le cristallizza facendo da palestra retorica. Per la riforma adesso non tira certo aria. Bisogna pertanto pensare ad altre geometrie, parallele non alternative, come il G20 dove la rappresentatività è allargata e più equilibrata, esiste (ancora) un dialogo e non c’è veto. Paesi importanti come l’India ci stanno facendo un pensierino.