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Un sogno politico ma un incubo giuridico. Salta il piano Ue sugli asset russi

Il gruppo di esperti messo in piedi dalla Commissione europea per tentare di monetizzare i beni sequestrati al Cremlino e finanziare la ricostruzione dell’Ucraina ammette l’impossibilità dell’operazione. Ecco perché​

Il sogno è finito. Perché giusto di un sogno si trattava. L’Europa non potrà vendere e monetizzare gli asset congelati alla Russia, per finanziare la ricostruzione dell’Ucraina. Tutto finito, dunque. Incassare denaro dai beni messi sotto chiave al Cremlino e aiutare Kiev a risollevarsi dalle macerie era una bellissima iniziativa in principio ma si è rivelato un incubo giuridico. Come raccontato da Formiche.net nelle settimane scorse, la Commissione europea aveva messo in piedi un gruppo di lavoro per valutare la possibilità di fare cassa con gli asset, circa 300 miliardi, sequestrati alla Russia oltre i suoi confini.

Una missione difficile, in equilibrio precario tra regole di diritto internazionale e violazione della sovranità altrui. E gli esperti alla fine hanno escluso l’ipotesi di una vendita coatta degli asset, senza la violazione di una serie di regole che avrebbe scatenato un contenzioso infinito.

Citando un documento non pubblicato, il quotidiano tedesco Die Welt ha riferito che il 13 aprile i funzionari dell’Unione europea hanno confermato che i beni congelati devono tornare alla Russia dopo la guerra. Il documento menzionato cita un rapporto della Commissione non pubblicato dell’ufficio legale europeo che concludeva che i beni della Banca centrale russa non possono essere legalmente sequestrati e trasferiti in Ucraina.

La proprietà dei beni congelati può essere trasferita a qualcun altro solo se c’è una condanna in un procedimento penale che coinvolge i medesimi beni, o in caso di dichiarata guerra alla Russia da parte dei paesi occidentali. Scenario che finora non si è avverato. “C’è la volontà politica ma le barriere legali sono alte”, si legge su Die Welt.

Tra gli ostacoli da superare, c’era da superare anche la necessità di creare un nuovo reato, al fine di validare la confisca dei beni e i successivo impiego. Lo chiariva un documento della Commissione, per il quale “il congelamento dei beni nell’ambito delle misure restrittive dell’Ue non può essere considerato un primo passo verso la confisca. Affinché il bene sequestrato venga infatti devoluto a un’utilità sociale, in questo caso alla ricostruzione del Paese invaso, serve la condanna di un giudice”.

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