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Schlein sull’aeroplano di D’Alema. Il corsivo di Cangini

Era il 2006, il processo di costituzione del Pd era già in corso e all’assemblea dell’area liberal democratica riunita ad Orvieto D’Alema usò la metafora dell’aeroplano. Il monito suona grossomodo così: si possono marginalizzare le idee politiche e coinvolgere i politici che esprimono quelle idee, ma se si marginalizzano sia le idee sia chi le rappresenta capita che poi qualcuno se ne vada. Oggi è capitato all’ex lettiano Enrico Borghi, domani capiterà ad altri

Il partito che metteva assieme gli ex comunisti dei Ds e gli ex democristiani di sinistra della Margherita era nato da meno di un anno e alla Direzione del 19 dicembre 2008 Massimo D’Alema pronunciò il proprio, lapidario, giudizio: “Siamo un’amalgama mal riuscita”. Tuttavia, rimase dov’era. Rimase con la segreteria del suo storico avversario interno, Walter Veltroni, e a maggior ragione rimase quando segretario divenne il suo amico Pier Luigi Bersani.

Se ne andò dopo l’arrivo di Matteo Renzi, e il motivo è ben riassunto in un suo intervento di qualche anno prima. Era il 2006, il processo di costituzione del Pd era già in corso e all’assemblea dell’area liberal democratica riunita ad Orvieto D’Alema usò la metafora dell’aeroplano. Il timore del passeggero al suo primo volo, disse, “è comprensibile”, ma infondato. Infondato perché “l’aereo è un mezzo sicuro, stabile, ha due ali, destra e sinistra. E, cosa ancora più importante, ha una cabina di pilotaggio: è la tenuta di questa cabina che assicura la sicurezza del viaggio”, scandì il leader Massimo. Nella lingua di D’Alema, uno che disse “capotavola è dove mi siedo io”, il messaggio era chiaro: finché sarò ammesso in cabina di pilotaggio, il Pd continuerà a volare. Veltroni lo ammise, Bersani lo ammise, Renzi lo escluse. E D’Alema se ne andò.

Ecco, ora che Massimo D’Alema è tornato e che grazie al voto dei 18 mila iscritti ad Articolo1 Elly Schlein è diventata segretaria del partito, ricordare l’apologo dalemiano dovrebbe servire come monito agli attuali dirigenti dem. Il monito suona grossomodo così: si possono marginalizzare le idee politiche e coinvolgere i politici che esprimono quelle idee, ma se si marginalizzano sia le idee sia chi le rappresenta capita che poi qualcuno se ne vada. Oggi è capitato all’ex lettiano Enrico Borghi, domani capiterà ad altri. E il Pd si ridurrà alla versione movimentista dei Ds avvicinandosi ai grillini di Conte e lasciando scoperta quell’area politica moderata e riformista da cui dipende la credibilità di una forza politica che ambisce a governare.


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