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Spie, fughe e altri guai. Il caso Uss letto dal prefetto Soi

La fuga di Artem Uss, manager russo arrestato in Italia su mandato della magistratura americana, i precedenti, il ruolo dell’intelligence e le conseguenze politiche. Ecco l’analisi del prefetto Adriano Soi

Poco più di tre anni fa Alexander Yuryevich Korshunov, manager russo arrestato a Napoli su richiesta statunitense per spionaggio industriale, fu inaspettatamente estradato in Russia anziché negli Stati Uniti per decisione dell’allora ministro della Giustizia italiano Alfonso Bonafede. Si trattò, ci venne spiegato, di una decisione tecnica, basata sul fatto che la richiesta di estradizione presentata da Mosca era sì successiva a quella statunitense ma motivata da reati che, secondo le autorità russe, erano stati commessi prima di quelli contestati a Korshunov dalla magistratura dell’Ohio.

Nello scorso mese di marzo un altro manager russo arrestato in Italia su mandato della magistratura americana, Artem Uss, è riuscito a evitare l’estradizione negli Stati Uniti sottraendosi agli arresti domiciliari poche ore dopo che la Corte d’Appello di Milano aveva accolto l’istanza dell’autorità giudiziaria newyorkese. Questa volta le accuse mosse nei confronti del cittadino russo andavano dal traffico di petrolio con il Venezuela (in violazione dell’embargo) alla frode bancaria, dal riciclaggio all’associazione per delinquere e, per finire, all’esportazione illegale dagli Stati Uniti di materiale militare dual use (quest’ultima imputazione non è però stata riconosciuta dalla magistratura milanese).

Insomma, cambiano i governi, cambiano i ministri della Giustizia ma il russo di turno riesce sempre a tornare a casa, sfuggendo alla giustizia americana. Anche per Uss le autorità russe erano sembrate intenzionate a ripetere lo “schema Korshunov” e addirittura a migliorarlo, perché stando a quanto si è appreso solo di recente, stavolta la domanda di estradizione (per malversazione) che come quella di Korshunov aveva l’unico scopo di riportare a casa il figlio del governatore di Krasnoyarsk, era stata presentata addirittura prima di quella americana, migliorando notevolmente la posizione di Uss nel procedimento di estradizione.

Sta di fatto che il manager, una volta tornato a casa, ha trovato il modo di ringraziare chi lo ha aiutato a fuggire e ciò ha certamente contribuito a dare al caso un forte risalto mediatico, assieme al suo inserimento nell’ordine del giorno di un’audizione di Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, davanti al Copasir e al rumoroso scaricabarile innescatosi tra il governo e la Corte d’appello di Milano, dalla quale fu deciso, alla fine dello scorso novembre, che il russo dovesse uscire di galera e accomodarsi ai domiciliari, sia pure gravato dal noioso braccialetto elettronico. La stessa sorte era toccata, se non ricordiamo male, anche al suo compatriota e compagno di sventura Korshunov, il quale però, dopo la decisione della Corte d’appello di Napoli che lo estradava verso gli Stati Uniti, scelse di non fuggire (magari il suo braccialetto funzionava meglio di quello di Uss) e aspettò – con fiducia poi ripagata dai fatti – la decisione del ministro della Giustizia italiano.

Dai giornali abbiamo appreso anche che nella relazione inviata sulla vicenda dalla Corte d’appello di Milano al ministero della Giustizia si sottolinea come via Arenula non abbia assunto alcuna iniziativa per riportare il russo in galera dopo che la stessa Corte ne aveva disposto il trasferimento agli arresti domiciliari. Nemmeno la lettera di allarme del dipartimento di giustizia degli Stati Uniti è valsa a far sì che i competenti uffici ministeriali italiani cambiassero idea sulla necessità di rispedire Uss in cella e rivedessero la loro incrollabile fiducia nel braccialetto elettronico.

La presidente Meloni ha parlato di anomalie da verificare ed è difficile darle torto. Ciò che più importa, però, è che la ricerca di tali anomalie avvenga rapidamente e si svolga a tutto campo, senza seguire tesi precostituite, prendendo in considerazione tutti gli ambiti dell’amministrazione governativa interessati, direttamente o indirettamente, alla vicenda. L’aggressione russa all’Ucraina e il tipo di affari in cui, secondo le accuse statunitensi, era implicato Uss – ben più gravi della frode fiscale cui ha fatto riferimento la Presidente del Consiglio – renderebbero particolarmente inquietante il permanere di sospetti sull’esistenza di aree dello “Stato profondo” italiano eccessivamente sensibili alle azioni di influenza e condizionamento svolte dai russi nel nostro Paese ormai da molti anni. Per non parlare, ovviamente, della pressione spionistica, rispetto alla quale il caso di Walter Biot ha tutta l’aria di essere la classica punta dell’iceberg.

A proposito di intelligence, la presidente Meloni è stata molto ferma nel tenere fuori i nostri organismi informativi dal caso Uss, affermando che questi non erano stati informati da altri servizi sul reale profilo del personaggio e, di conseguenza, sulle possibilità che tentasse di fuggire.

Si potrebbe osservare che la missione delle agenzie di intelligence è piuttosto quella di andare a cercare le informazioni anziché aspettare di riceverle, fermo restando che, molto spesso, i servizi di Paesi alleati costituiscono un importante canale di alimentazione informativa. In questo caso, però, dato che c’è una guerra in corso e che l’Italia, fino a prova contraria, sostiene l’Ucraina e non la Russia, lascia piuttosto perplessi, o increduli, la sottovalutazione di un cittadino russo della caratura di Uss, la cui vicenda giudiziaria si è per altro svolta sotto gli occhi di tutti e in tempi non particolarmente brevi, tali comunque da lasciare spazio più che sufficiente per attivare quelle misure di sorveglianza e prevenzione che sono tipiche del controspionaggio e, più in generale, dell’intelligence difensiva.

Sarebbe tuttavia un errore soffermarsi solo sugli aspetti tecnici, per valutare i quali, oltretutto, ci mancano importanti informazioni di contesto (non sappiamo, ad esempio, quanta capacità operativa sia oggi impegnata sul terreno in azioni di sorveglianza simili a quelle che sarebbero state necessarie per marcare stretto Uss, ed è ben possibile che nell’attuale situazione ci siano condizioni di sovraccarico operativo che rendono impossibile coprire tutti i fronti. Se così fosse, naturalmente, il Copasir sarebbe la sede deputata per un tale tipo di approfondimento).

Ma, dicevamo, non sembra essere questo il punto cruciale, che è invece squisitamente politico. Quello che conta, infatti, è che la presidente del Consiglio ha scelto di “coprire” l’intelligence, ciò che comporta una diretta e precisa assunzione di responsabilità politica da parte della premier, sia nei confronti della comunità nazionale, della cui sicurezza è la prima garante, sia dei governi alleati, a partire da quelli dei Paesi Nato. Quali danni ha prodotto, o si avvia a produrre, in questo ambito il caso Uss? Non lo sappiamo ancora ma quel che sembra certo è che l’esposizione diretta della presidente Meloni renderà la gestione di eventuali strascichi più difficile di quanto non sarebbe stato se si fosse scelto di muoversi sul piano strettamente tecnico.


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