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Lo spirito d’Israele rivive nell’arte. Spagnoletto e Calò raccontano la mostra

Da Renato Guttuso a Carla Accardi, dall’arte figurativa alla scultura. Una mostra, quella realizzata al museo Ebraico di Roma (che aprirà al pubblico domani), ricca dello spirito autentico che mosse gli artisti, nel 1948, a realizzare le opere per sostenere la nascita dello Stato Ebraico. Una piccola anticipazione con i due curatori della mostra

Rivive nell’arte, lo spirito originario dello Stato d’Israele. Nel 75esimo anniversario dalla sua fondazione, il tributo più sublime è il ricordo di qualcosa che ancora, dal 1948, riecheggia e si rinnova. La mostra curata da Davide Spagnoletto e Giorgia Calò (che inaugura oggi al Museo ebraico di Roma, in via Catalana) è un viaggio che da palazzo Torlonia (dove venne ospitata la mostra degli artisti più emergenti dell’epoca ma non solo, nel 1948) porta al cuore di Israele. Formiche.net ha parlato in anteprima con i curatori dell’esposizione (che sarà aperta al pubblico da domani fino al 10 di ottobre), che hanno spiegato la genesi di una rassegna destinata a restare impressa nella memoria.

La genesi di questa mostra è tanto affascinante quanto originale. Come avete messo assieme le opere ospitate nel ’48 a palazzo Torlonia?

Spagnoletto: La mostra nasce da una ricerca che è stata condotta proprio sull’esposizione che venne realizzata nel giugno del 1948, a un mese dalla nascita dello Stato d’Israele. Allora, il gotha dell’arte contemporanea italiana si mise assieme, superando acredini, differenze di vedute e sensibilità artistiche, con un unico obiettivo: sostenere lo Stato d’Israele. Quindi si può dire che, anche la mostra che abbiamo curato noi, recuperi non solo parte di quel patrimonio artistico straordinario, ma anche lo spirito che mosse quegli artisti.

Quante sono le opere esposte e, sopratutto, di quali autori?

Calò: Sono 19 le opere in mostra, 17 quelle che facevano parte delle opere dell’esposizione del 1948. Tra queste (oltre a una copia originale della dichiarazione di indipendenza dello Stato), sedici sono dipinti e una è scultura. Nella prima stanza, in cui si ripercorre anche dal punto di vista documentale la fase storica della fondazione dello stato d’Israele, sono contenuti due dipinti che provengono da Tel Aviv, di un artista italo-israeliano: Renzo Avigdor Luisada. Lui, che divenne di fatto israeliano dopo la fuga dall’Italia negli anni ’30, fu colui che ha interceduto la donazione delle opere in mostra nel 1948 allo Stato d’Israele.

Non vennero vendute?

Calò: L’obiettivo iniziale di quell’esposizione era quello di vendere le opere per “sostenere il nuovo stato d’Israele”. Ma, ovviamente anche a causa delle ristrettezze del dopoguerra così non fu. A ogni modo gli artisti, tra cui Renato Guttuso e Carla Accardi, non si scoraggiarono. Anzi, decisero appunto di donare le loro opere allo Stato d’Israele.

Più che una mostra in senso stretto, quella che verrà ospitata al museo Ebraico sembra una grande fotografia del dopoguerra e non solo in campo artistico. 

Spagnoletto: Sì, la mostra è in effetti un’ottima rappresentanza dell’epoca. L’altro elemento interessante è quello generazionale. Quell’evento straordinario del 1948 riuscì a mettere assieme artisti di età molto differenti tra loro: chi era nato alla fine dell’800, chi aveva subito su di se gli effetti delle Leggi Razziali e ancora chi, come Cardi, era un’artista in erba.

Dove sta, secondo voi, l’attualità della mostra realizzata nel 1948?

Calò: Nel messaggio che ha portato e nella varietà di sensibilità che ha saputo mettere assieme per un obiettivo comune: il sostegno a Israele. Ed è quello che abbiamo cercato di restituire noi, cercando peraltro di sottolineare come, al di là degli artisti, ci fosse un comitato scientifico a sostegno di quella mostra, composto da intellettuali di primissimo piano come Giulio Carlo Argan.

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