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Sudan, la Cina alla prova di affidabilità internazionale

Sulla crisi in Sudan, la Cina sarà un attore responsabile oppure sceglierà di proteggere solo i suoi interessi, che ultimamente sono meno importanti, nel Paese? Pechino sarebbe chiamata a mostrarsi una potenza internazionale responsabile, ma probabilmente applicherà il principio di non interferenza

“Un tempo il Sudan era il gioiello della corona degli investimenti petroliferi cinesi all’estero. Ma dopo che la secessione del Sud Sudan nel 2011 ha lasciato al Sudan una piccola parte delle risorse petrolifere, il commercio, gli investimenti e l’impegno finanziario della Cina con il Sudan sono diminuiti drasticamente”, ha spiegato Luke Patey, ricercatore senior presso l’Istituto danese per gli affari internazionali, secondo cui la Cina rimane il principale partner commerciale del Sudan “ma si tratta di una quantità minima rispetto alle relazioni più ampie della Cina”. È questo potrebbe guidare la reazione alla crisi.

Narrazioni e interessi

Resta che la China National Petroleum Corporation è ancora il maggiore azionista del consorzio petrolifero che gestisce le forniture petrolifere del Sudan, usate anche dal Sud Sudan. E sebbene la Cina abbia continuato a impegnarsi in progetti non petroliferi nel Paese – in particolare, infrastrutture come strade, ferrovie e costruzione di ponti – ciò che è in gioco per Pechino potrebbe essere di più. Non solo gli interessi nel Paese, ma da come Pechino gestirà la sua esposizione nella crisi a Khartoum potrebbe passare il suo ruolo in Africa. Decenni di investimenti e scambi commerciali cinesi non hanno portato alla pace nella nazione africana, e il Partito/Stato potrebbe essere chiamato a un investimento politico-diplomatico di ordine superiore. Sia per proteggere le sue posizioni che per cercare di continuare a difendere la sua posizione di punto di riferimento per i Paesi del continente. Un investimento che potrebbe servire a sostenere lo standing globale pensato dal leader Xi Jinping.

Pechino sostiene da sempre che lo sviluppo economico può favorire la pace e la stabilità. Ma dopo aver investito e commerciato decine di miliardi di dollari con il Sudan negli ultimi decenni, non solo non è arrivata la stabilizzazione auspicata dopo la scissione del Sud e successivamente della transizione post-Bashir. Ma non c’è nemmeno pace. “Non è una responsabilità esclusiva della Cina, ma ha giocato un ruolo influente nel dare potere ai governanti autocratici del Sudan”, sottolinea Patey, secondo cui il governo cinese deve anche mantenere la promessa di proteggere i suoi civili coinvolti nei conflitti all’estero. “Ora dovrà dimostrare di essere in grado di farlo in Sudan, dove attualmente vivono oltre mille cittadini cinesi”.

Il contesto

Caos, illegalità e paura attanagliano gran parte del Sudan. È passata una settimana da quando le tensioni tra i due generali più importanti di Karthum sono esplose in vere e proprie battaglie che si sono estese a tutto il Paese – circa 46 milioni di persone, il terzo più grande per estensione – trasformando la capitale in una città fantasma da cui stanno evacuando gli stranieri e fuggendo un’ondata di rifugiati. Tregue temporanee, tra cui una durante la festività dell’Eid, non sono riuscite ad arginare il conflitto, che alla radice ha una contesa per il potere tra il generale Abdel Fattah al-Burhan, comandante delle Forze armate sudanesi e capo di Stato de facto, e il generale Mohamed Hamdan Dagalo, a capo delle influenti Forze paramilitari di supporto rapido.

La scelta cinese di ridurre in modo significativo la sua dipendenza dal petrolio sudanese, così come i suoi investimenti nel Paese, è realista: l’economia sudanese è indebolita dai disordini politici. Per Pechino, il rapporto costi/benefici si è via via sbilanciato e adesso aumentano i dubbi sulla capacità di Khartoum di ripagare i propri debiti contratti con Pechino – che ha una leva in più.

Quanto conta il Sudan per Pechino?

David Shinn, specialista delle relazioni Cina-Africa presso la Elliott School of International Affairs della George Washington University, sostiene che il Sudan è meno importante per la Cina oggi rispetto a 10-15 anni fa. “Una volta la Cina riceveva circa il 6% del petrolio importato dall’allora Sudan unificato. Oggi ne riceve meno dell’1% dal Sudan meridionale e dal Sudan”. Pechino ha scelto altre vie di approvvigionamento, e al di là della mossa formale di chiedere la fine dei combattimenti – sull’onda dell’essere presente all’interno di certi dossier internazionali – è rimasta sostanzialmente ferma. È il minore peso nelle connessioni con il Paese a muovere la Cina al ribasso? Pechino ha disinteresse nel mostrarsi un attore internazionale responsabile?

La Cina è innanzitutto ansiosa di proteggere i propri interessi commerciali e imprenditoriali, e soprattutto i cittadini cinesi che vivono in Sudan. Secondo Shinn, non c’è stato alcun serio sforzo da parte della Cina negli ultimi anni per mediare o risolvere i conflitti nel Corno d’Africa. “L’inviato speciale della Cina per il Corno d’Africa ha ospitato una conferenza di pace ad Addis Abeba nel giugno del 2022, ma non sembra che questa iniziativa abbia portato a nulla”. E ancora: “Nella misura in cui la Cina decidesse di impegnarsi più attivamente per portare la pace nel Corno d’Africa, la situazione in Sudan complicherebbe ovviamente i suoi sforzi”. E dunque, su Khartum la Cina sceglierà di proteggersi secondo il principio di non interferenza o deciderà di lanciarsi più seriamente in qualche complessa mediazione?

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