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La Germania sul Patto di stabilità è meno “falco” di quanto sembri. Tria spiega perché

Intervista all’ex ministro dell’Economia. La proposta tedesca per l’abbattimento del debito dell’1% all’anno fa il gioco dell’Italia, perché scongiura tensioni sui mercati ed è sostenibile. I tassi? Serviva un coordinamento delle politiche monetarie. Si sarebbe evitato di inseguire la Fed​

E se invece questa volta gli interessi tedeschi non fossero in contrasto con quelli italiani? Il dubbio è lecito a sentire Giovanni Tria, economista di lungo corso e già ministro dell’Economia nel governo Conte. Antefatto. Da un lato c’è la riforma proposta dalla Commissione europea, e ancora in discussione, per aggiornare le regole del Patto di stabilità e renderlo più in linea con le esigenze di crescita dei Paesi ad alto debito pubblico, a partire dall’Italia. Dall’altro, arriva la controriforma della Germania. La quale, per come è congegnata, se fosse stata applicata nel 2022 avrebbe costretto il nostro governo a tagliare la spesa annuale di circa 20 miliardi rispetto a quanto fatto.

Berlino, infatti, chiede che vengano introdotti dei parametri che garantiscano che gli Stati membri non sfuggano ai loro impegni verso la riduzione del debito pubblico. È chiaro che questo discorso è rivolto in primis a Italia e Grecia, ma anche a Portogallo, Spagna, Francia e Belgio. Tradotto, la Germania propone l’obbligo di ridurre il rapporto debito-Pil di almeno un intero punto percentuale l’anno sui Paesi più indebitati, fino al raggiungimento della soglia del 60% del Pil, e di almeno mezzo punto percentuale l’anno per gli stati meno indebitati.Per l’Italia un obbligo simile significherebbe ridurre il debito di circa oltre 19 miliardi di euro l’anno.

Una proposta che segue le parole pronunciate a metà marzo, in occasione dell’Ecofin, dal ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner: servono “ulteriori discussioni” sulla revisione delle regole comuni di Bilancio proposta formalmente dalla Commissione Ue. Pochi giorni dopo il presidente della Bundesbank, Joachim Nagel aveva duramente criticato le proposte dell’esecutivo comunitario.

SE BERLINO AIUTA L’ITALIA…

Eppure quella tedesca non è un’opera demoniaca. Anzi. “Ho letto il documento di Berlino e le dico la verità, mi sembra qualcosa di migliore rispetto alla proposta della Commissione. La quale prevedeva che ogni Paese dovesse trattare, negoziare, la riduzione del debito, dopo che Bruxelles avesse effettuato una analisi di sostenibilità dei conti. In più, dividendo i Paesi dell’Ue in buoni e cattivi. Dando vita a una diversificazione della sostenibilità del debito”, spiega Tria. “E poi, crediamo davvero che la Commissione avrebbe imposto una riduzione dello stock minore dell’1% all’anno? La verità è che la proposta tedesca toglie l’analisi della sostenibilità del debito, che per l’Italia è molto pericolosa, ma prevede un benchmark per tutti. Evitando a Roma l’ombra del sospetto, che sappiamo quanto agiterebbe i mercati. Analizzare i conti, analizzare la sostenibilità del debito, metterebbe il governo e il Paese in cattiva luce. Per questo lo schema tedesco è molto più favorevole per l’Italia di quanto sia invece l’idea dell’Ue”.

TRA EUROPA, CINA E USA

Tria affronta poi il discorso relativo al ruolo dell’Europa, stretta tra Cina e Usa. “Il fatto di vedere nella Cina un rivale strategico sta portando a un conflitto globale che impedisce di pensare realmente alla crescita e alla politica monetaria. Lo scontro tra Stati Uniti e Cina, con l’Ue in mezzo, crea i presupposti per una politica industriale conflittuale. E allora dico, bene che gli Stati Uniti investano, ma lo faccia anche l’Europa. Non è che se la Cina aumenta il passo sui semi conduttori allora l’Europa ne deve aver di meno. Il Vecchio continente deve lavorare su se stesso, questa è la vera operazione da fare”.

TASSI O NON TASSI

L’asse della discussione si sposta infine sui tassi. Parlare di crescita vuole anche dire parlare di costo del denaro, d’altronde. “I tassi aumenteranno, certamente. Sta già accadendo. Ma l’inflazione va combattuta, qualcuno deve fermarla. Se in Europa nessuno controlla la domanda in modo selettivo, rimane solo la politica monetaria, ovvero la Bce. La quale, ricordo, è condizionata dalla Federal Reserve. Che ha agito per prima”, spiega Tria. “In questo modo Francoforte è stata costretta a reagire. E poi, perché dopo la crisi pandemica è mancato un coordinamento tra le politiche monetarie di Cina, Usa ed Ue? Torno al punto precedente, la conflittualità industriale e monetaria. Se ci si fosse accordati, forse, la Bce non avrebbe dovuto inseguire la Fed, non crede?”.


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