Qual è il significato politico della nomina di Katarina Mathernová ad ambasciatore dell’Unione europea in Ucraina e quali sono le sfide che l’attendono. Puntando sulla diplomazia e assegnando una rinnovata missione alla Dg Near, la Commissione di Ursula Von der Leyen rimette al centro le politiche di allargamento, e si ripropone come un potere civile, ma abbracciando il realismo dell’hard power in un continente profondamente cambiato dalla guerra. Il ritratto di Dario Quintavalle
Il 19 aprile, proprio mentre Kyiv registrava il primo allarme aereo da mesi forzando gli abitanti a tornare nei rifugi antiaerei, il Servizio europeo per l’azione esterna (Eeas), a nome dell’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza Josep Borrell, annunciava che la slovacca Katarina Mathernová sarà il nuovo capo della Delegazione Ue in Ucraina a partire dal prossimo autunno.
Mathernová è vicedirettore generale della Dg Near da settembre 2015. La Dg Near si occupa delle relazioni con i Paesi del partenariato orientale e dei negoziati di allargamento dell’Unione. In tale ambito è stata anche direttore esecutivo del Gruppo di Sostegno per l’Ucraina.
La nomina di Mathernová fa parte di una tornata di importanti incarichi diplomatici dell’Ue, 39 in tutto il mondo, compresi gli Stati Uniti e l’Onu.
Le nuove nomine manifestano la visione, condivisa tra Josep Borrell e Ursula Von der Leyen, del futuro dell’Unione europea in un mondo che cambia. Paragonando l’Europa a “un giardino circondato da una giungla” – cioè un’isola di pace in un mondo che cambia e diventa più caotico, più imprevedibile, più pericoloso – Borrell ritiene che l’Europa debba adattarsi a un contesto profondamente mutato dall’epoca in cui la Cee fu fondata.
La Ue non abbandona il soft power, ma non si illude più che esso basti e che possa sostituire del tutto l’hard power. Essa deve perciò convertirsi al realismo, stabilendo un nuovo rapporto con la Forza. Questo comporta innanzitutto un meccanismo di finanziamento per le azioni dell’Ue con implicazioni militari e di difesa nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune (Pesc). Con lo Strumento europeo per la Pace (Epf), per la prima volta la Ue finanzia spese militari, anche di uno Stato in guerra come l’Ucraina.
L’altro tassello è un servizio diplomatico più interventista ed incisivo, secondo i nuovi canoni della diplomazia pubblica, a suo agio sui social networks tanto quanto nei corridoi ovattati delle cancellerie e nei cocktail parties. Una diplomazia che spesso abbandona il linguaggio felpato, e si misura direttamente nell’arena del dialogo pubblico con cittadini e gruppi d’interesse.
L’Ucraina – cui l’anno scorso è stato concesso lo Status di Candidato membro dell’Unione europea, che si ottiene normalmente dopo lunghi anni di negoziati – è il banco di prova della nuova dottrina: il luogo dove il giardino delle regole europee si scontra con la legge della giungla dell’aggressore russo. La forza della legge contro la legge del più forte, insomma.
Il terreno al nuovo ambasciatore è stato preparato all’inizio di aprile, durante la visita a Kyiv di Ursula von der Leyen e Borrell. Si è deciso di riaprire i locali della Delegazione a Kyiv e valutare le condizioni per un progressivo rientro di tutto il personale diplomatico nella capitale ucraina.
Occorre ricordare, infatti, che nell’imminenza dell’invasione russa del 24 febbraio 2022 le ambasciate occidentali furono evacuate, con la lodevole eccezione di quella italiana: l’ambasciatore Zazo infatti decise di restare. La Delegazione dell’Unione Europea (Eud) fu temporaneamente trasferita nella città polacca di Rzeszow.
La Commissione dovrebbe pubblicare la sua valutazione dei progressi dell’Ucraina entro la fine dell’anno, con una presentazione orale delle sette raccomandazioni di riforma dell’esecutivo dell’Ue previste in primavera, e il pacchetto formale sull’allargamento in autunno.
A condizione che si notino progressi positivi, è possibile che il blocco avvii discussioni sull’apertura dei negoziati di adesione entro la fine di quest’anno, come richiesto dall’Ucraina.
Su questo sfondo, la nomina della Mathernová assume un significato politico particolare, anche negli equilibri interni della Commissione: la Dg Near, di cui essa è vice direttore generale, è tornata centrale. Nata come Dg Elarg, Direzione generale per l’allargamento – soprattutto per gestire l’inclusione dei Paesi dell’ex blocco sovietico nel 2004-2007 – con la Commissione Juncker, nel 2015, fu poi trasformata in Direzione per la “Politica europea di vicinato e negoziati di allargamento”. Una missione più ampia, ma anche più diluita, visto che si cominciava a sentire tra i paesi membri una “stanchezza da allargamento”. Di fatto, l’unico nuovo ingresso fu quello della Croazia, seguito però dal dramma della Brexit.
Mathernová è stata a capo del Gruppo di Sostegno per l’Ucraina (Sgua), creato nel 2014 dopo gli eventi che portarono all’annessione russa della Crimea. Il Gruppo ha sviluppato programmi di sostegno alle riforme in settori quali il decentramento, la lotta alla corruzione, il rafforzamento dello stato di diritto. Nei tragici momenti seguiti all’invasione russa del 2022, si è rivelato uno strumento molto agile per coordinare la risposta europea. Di recente è stato trasformato in una nuova direzione della Dg Near, tutta dedicata alla ricostruzione e all’adesione dell’Ucraina.
Oggi dunque le politiche di allargamento tornano attuali, e i suoi strumenti d’intervento preparano lo scenario post-bellico. Come la Nato è riuscita a trasformare l’esercito ucraino in una formidabile macchina da guerra capace di tener testa alla potenza russa, domani la Ue dovrà fare dello Stato ucraino, ancora disfunzionale e corrotto, una istituzione credibile, efficiente e trasparente, capace di gestire in modo adeguato gli ambìti fondi per la ricostruzione.
Con la nomina di Mathernová la Ue rende espliciti i suoi propositi in Ucraina, offrendo allo stesso tempo tutto il supporto tecnico e le competenze di cui Kyiv ha bisogno per fare progressi verso l’adesione. L’Unione europea, misuratasi con la forza militare, dovrà tornare a fare quello che le riesce meglio, il potere civile e democratico. Nella metafora di Borrell, riuscirà il guardiano europeo a fare ordine nella giungla alla sua frontiera?