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Oltre le offensive di primavera. Gli scenari in Ucraina secondo il generale Jean

Sarà un conflitto ancora lungo. Putin continuerà a sperare sul collasso della coalizione occidentale che sostiene l’Ucraina. Quest’ultima porrà le sue speranze su un improbabile collasso delle forze d’occupazione o del gruppo dirigente del Cremlino. L’analisi del generale Carlo Jean

L’aggressione russa all’Ucraina ha superato ormai il suo quattrocentesimo giorno. Il suo esito è ancora incerto. Diverrà forse più prevedibile dopo le preannunciate offensive di primavera. Non è però sicuro che lo divenga. E’ sempre più facile iniziare una guerra che terminarla. Sono infatti in gioco i destini non solo dei belligeranti, ma anche il potere dei loro capi politici. Il conflitto in corso potrebbe divenire di lunga durata. Anche in caso di sconfitta totale è probabile che gli ucraini continuino a combattere in profondità, al limite con una strategia di guerriglia. L’Occidente continuerà a sostenerli. I russi non dispongono dei 5-600.000 necessari per controllare il territorio.

Non si conoscono quali siano gli obiettivi che potrebbero indurre Vladimir Putin – oggi zar senza impero, ma che aspira a essere un nuovo Pietro il Grande – a una trattativa di pace. Quelli iniziali di annettersi l’intera Ucraina o di installare a Kyiv un governo fantoccio sembrano di fatto ridimensionati. Non si conosce quale “vittoria” Putin ritenga sufficiente per salvare il suo potere: se il solo Donbas o i quattro Oblast annessi alla Russia (oltre l’irrinunciabile Crimea), oppure l’intero litorale del Mar Nero e il territorio ad Est del Dnepr o, infine, l’intera Ucraina, come continua a dichiarare nella sua crociata contro i “nazisti” a cui il Patriarca Kirill ha aggiunto i gay. Non si ha idea neppure delle garanzie di sicurezza che Putin sarebbe disposto ad accettare per quanto rimarrebbe dell’Ucraina.

Sia Putin che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky hanno bisogno di raggiungere qualcosa che, almeno nel breve-medio periodo, possano “vendere” come un successo o, almeno in una soluzione obbligata per evitare guai maggiori. Questo non deve riguardare solo le questioni territoriali, ma anche le garanzie da fornire all’Ucraina per dissuadere credibilmente la Russia da una nuova aggressione. Tali garanzie dovranno essere fornite dall’Occidente, ma accettate da Mosca. Per Putin potrebbero esserlo solo se seguissero i concetti espressi nel recente documento sui principi della politica estera russa. Essi prevedono che l’Occidente non s’impicci nell’area d’influenza naturale di Mosca. Un accordo sarebbe perciò impraticabile. Infatti, sarebbe inaccettabile anche per il governo più filorusso di Kyiv. Per l’Ucraina, nessuna garanzia avrebbe senso senza l’impegno diretto della Nato in Ucraina.

In sostanza, nelle attuali condizioni, nell’impossibilità di una vittoria decisiva sul campo, non sembra esservi alternativa alla trasformazione della guerra in una guerra prolungata. Essa non potrà, almeno per il momento, terminare con una soluzione di tipo coreano, cioè con una tregua prolungata, seguita dal congelamento del conflitto sulla linea raggiunta dal fronte e dall’adozione di garanzie di fatto dell’Occidente a favore di Kyiv.

Al riguardo, sono attualmente dibattute due soluzioni: da un lato, il rafforzamento militare degli ucraini, sostenuto dal segretario di Stato americano Antony Blinken; dall’altro, l’estensione in qualche forma della garanzia Nato al congelamento della tregua in Ucraina. A parer mio, è probabile che si finirà ad adottare – per evitare un’umiliazione eccessiva di Mosca – la prima soluzione, alla cui attuazione sembra finalizzato l’addestramento degli ucraini negli Stati Uniti al pilotaggio degli F-16.

Sono allo studio in ambito Nato le misure, almeno simboliche, che dovrebbero evitare lo scoppio di una nuova guerra fredda con la Russia. Esse sono ritenute indispensabili per la stabilità interna della Federazione, specie in caso di collasso del regime di Putin. Egli e i suoi collaboratori danno ultimamente chiari segni di paranoia e di aver difficoltà a mantenere il controllo dei vari gruppi in lotta per il potere al Cremlino. Tali misure potrebbero ispirarsi agli accordi del 1997 fra Javier Solana, allora segretario generale della Nato, e Evgenij Maksimovič Primakov, allora ministro degli Esteri russo, che portarono al NATO-Russia Founding Act, perfezionato dagli Accordi di Pratica di Mare del 2002. Le considerazioni fatte, si basano su vari assunti. Il primo è l’impossibilità di una vittoria sul campo; quindi, uno stallo militare e la continuazione di una guerra di attrito. Il secondo consiste nell’impossibilità russa di procedere a una mobilitazione generale. Il terzo è la mancanza di escalation nucleare. Infine, il prevedibile insuccesso di ogni negoziato di pace, anche dell’unico realistico: quello sponsorizzato congiuntamente da Cina e Occidente.

La situazione rimarrà di stallo anche perché l’Occidente, nel timore di suscitare un’escalation da parte del Cremlino, continuerà a seguire nel trasferimento di armi all’Ucraina criteri di estrema gradualità, Malgrado la loro flessibilità operativa e capacità di sfruttare al meglio le nuove tecnologie, gli ucraini non riusciranno a imporre ai russi il passaggio dall’attuale guerra d’attrito a una di manovra, unica in grado di consentire la riconquista dei territori occupati russi.

Malgrado il sostegno della maggioranza dell’opinione pubblica, Putin ha difficoltà a imporre nuovi richiami di riservisti. Già quello precedente, dello scorso settembre, ha presentato grossi problemi: circa 200.000 giovani sono fuggiti all’estero, aggiungendosi ai 7-800.000 scappati dalla Russia dopo l’inizio dell’aggressione all’Ucraina. Generalmente la gente fugge quando il proprio paese viene invaso, non quando ne invade un altro. Inoltre, a fine marzo, Putin ha dovuto riconoscere l’effetto disastroso che le sanzioni hanno sull’economia russa, smentendo le sue precedenti affermazioni al riguardo. Secondo Elvira Nabiullina, governatrice della Banca Centrale russa, saranno necessari 10 anni alla Russia per riprendersi.

Sul conflitto grava infine l’incognita del ricorso da parte russa alle armi nucleari, più volte minacciato da Mosca. I media, non solo italiani, continuano a chiamarle tattiche nell’assunto che possano dare alle forze russe un decisivo vantaggio operativo su quelle ucraine. Che vengano cioè impiegate non contro le città, ma sul campo di battaglia. Non ho mai ritenuto probabile il loro impiego. Tale valutazione è rafforzata dalla decisa opposizione espressa dal leader cinese Xi Jinping anche a minacciarne l’uso oppure un impiego dimostrativo (ad esempio con scoppio aereo molto alto su zone disabitate). Gli effetti sulle truppe di qualche testata sarebbero molto limitati, eccetto nel caso dell’impiego massiccio di decine di testate. Putin si alienerebbe il sostegno di quasi tutti gli Stati che non hanno finora condannato la sua aggressione.

In conclusione, le offensive di primavera, preannunciate da russi e da ucraini non avranno esiti decisivi sulla sorte della guerra in Ucraina. Ci si deve orientare a un conflitto ancora prolungato, in cui Putin continuerà a sperare sul collasso della coalizione occidentale che sostiene l’Ucraina, mentre quest’ultima porrà le sue speranze su un improbabile collasso delle forze d’occupazione russa o del gruppo dirigente del Cremlino.


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