Il commissario per il Mercato interno, Thierry Breton, ha avvertito le principali piattaforme digitali: entro il 25 agosto dovranno adeguarsi alle nuove regole del Dsa, altrimenti non potranno più operare sul territorio europeo. Bruxelles detta quindi le sue regole per evitare il “far west”
Cambiare, per rimanere vive. L’Unione europea ha invitato, si fa per dire, diciannove piattaforme tech ad adeguarsi alle nuove regole previste nel Digital Services Act (Dsa), con cui Bruxelles intende dare un unico paradigma per veicolare i contenuti che passano sulle Big Tech. Alibaba, AliExpress, Amazon Marketplace, App Store Apple, Booking, Facebook, Google Play, Google Maps, Google Shopping, Instagram, LinkedIn, Pinterest, Snapchat, TikTok, Twitter, Wikipedia, YouTube, Zalando, i motori di ricerca Bing e Google Research: a tutte loro, il commissario per il Mercato interno dell’Unione Henry Breton ha ricordato come “dovranno cambiare i loro comportanti se vogliono continuare a operare in Europa”. Ormai, ha aggiunto, è chiaro come “siano diventate sistematicamente rilevanti e abbiano responsabilità speciali per rendere Internet più sicuro”. Avranno tempo fino al 25 agosto per rispettare gli obblighi di trasparenza e affidabilità stilati dalla Commissione europea. Passati i quattro mesi, incapperanno in multe che potranno arrivare fino al 6% del fatturato annuo o potrebbero essere del tutto bandite dal territorio europeo.
Per andare nello specifico: in base al Dsa, queste piattaforme saranno chiamate a proteggere gli utenti, moderando i contenuti che vengono pubblicati. Come? Etichettandoli, in modo tale che chiunque ci si imbatta possa conoscere chi li sta promuovendo. Non potranno, inoltre, essere visualizzati annunci pubblicitari basati sulle informazioni riservate dell’utente; dovranno essere applicati termini e condizioni chiare, semplici da comprendere, tradotti in tutte le lingue degli Stati Ue; i contenuti illegali dovranno essere segnalati. Per quanto riguarda invece gli utenti minorenni, dovranno essere tutelati. Ad esempio, impendendo la pubblicità mirata ai bambini e valutando il rischio che corrono passando il tempo sulle piattaforme, anche per la salvaguardia della loro salute mentale. Le valutazioni di questi rischi dovranno essere presentate alla Commissione europea dopo quattro mesi la designazione ed essere pubblicate al massimo entro un anno.
Altrimenti, si scatenerà il “far west” digitale, quello che l’Europa vuole scongiurare con il Dsa. Bruxelles ha deciso pertanto di mettersi in testa il cappello da sceriffo per proteggere i suoi cittadini e cercare di rimediare agli errori del passato, quando le piattaforme godevano di un potere pressoché illimitato. Niente di particolarmente sorprendente, come ha dichiarato Zach Meyers, ricercatore del Center for European Reform. Piuttosto, ha sottolineato, sono ingiustificabili “alcune omissioni dall’elenco, tra cui Spotify e Airbnb, anche se la Commissione ha affermato che sta ancora esaminando se altre aziende debbano rispettare i requisiti più severi”. Pertanto, per queste aziende, potrebbe non essere ancora il momento di rilassarsi.
Tempo al tempo, dunque. Come ha scritto Euronews, a finire nella black list della Commissione sono non soltanto quelle piattaforme che hanno già raggiunto i 45 milioni di utenti – soglia minima per definirsi Big Tech – ma anche quelle che potrebbero raggiungerli. Tra questi, rientrano anche i siti pornografici: la caccia europea alle piattaforme digitali non in regola è partita e non sembrerebbe volersi fermare.