Molte aziende, nelle loro quotidiane interlocuzioni con azionisti e investitori, tornano a inserire nei fattori di rischio per l’economia possibili nuovi crac bancari. E lo stesso vale per Warren Buffett. Che però non prevede sfaceli, anche grazie all’azione tempestiva del Fondo federale dei depositi
Chissà se ha davvero ragione Warren Buffett quando afferma di aspettarsi altri fallimenti bancari, dopo il crac di Svb. Silicon Valley Bank e Signature Bank, secondo l’oracolo di Omaha, non sono casi isolati. Ma i correntisti possono dormire sonni tranquilli, ha detto il 92enne fondatore della Berkshire Hathaway ai microfoni di Cnbc, perché già esistono (il caso Svb ne è stata la prova, in un certo senso) tutti i possibili paracadute.
Secondo lui, le cause che hanno portato ai crac bancari di marzo esistevano già da tempo, ma venivano nascoste fino a che non sono esplose. “Alcune delle sciocchezze che le banche fanno periodicamente sono venute alla luce, ad esempio la tendenza a non far combaciare attività e passività, oltre a una contabilità discutibile”. Di sicuro, qualcosa nella finanza americana sta cambiando.
Il trauma emotivo è ancora forte, nonostante gli sforzi del Congresso Usa di fare piena luce sul disastro di Svb, unitamente a quello di First Republic Bank. Dentro e fuori Wall Street, infatti, i fallimenti bancari si stanno aggiungendo all’elenco degli avvertimenti che le società rivolgono quotidianamente agli azionisti, accanto alle crisi geopolitiche, ai cambiamenti climatici, alle turbolenze economiche e alle cause legali. Insomma, i default degli istituti sono tornati improvvisamente nel glossario della finanza a stelle e strisce, quasi 15 anni dopo Lehman Brothers.
La crisi delle due banche americane poc’anzi citate sta spingendo alcune società quotate in Borsa ad aggiungere un linguaggio che identifica il settore bancario come un’area potenzialmente soggetta a conseguenze negative, parlando apertamente di fattori di rischio nei documenti informativi. Buffett ha però tranquillizzato i correntisti delle banche americane: “Il sistema è già in grado di proteggere i depositi dell’intera nazione, grazie al Fdic, cioè il fondo federale americano di garanzia dei depositi bancari, i cui costi sono a carico delle banche stesse, senza nessun impatto sul governo federale. Spesso si fa fatica a comprendere questo passaggio, che è però fondamentale”. Tradotto, nessuno metterà le mani in tasca agli americani, per coprire il buco da 23 miliardi aperto dal crack di Svb. Proprio in queste settimane, la Federal deposit insurance dovrebbe infatti proporre il piano per far pagare al settore bancario statunitense il conto della Svb.