L’ambasciatore Jia spiega che i “risultati” commerciali sono “inseparabili” dal memorandum siglato da Conte nel 2019. La Cina prova a legare il rinnovo agli scambi, ma l’intesa è fortemente politica
Secondo Jia Guide, ambasciatore cinese in Italia, i “risultati” commerciali tra Italia e Cina sono “inseparabili dalla firma” del memorandum d’intesa sulla Via della Seta, “che non è un’intesa giuridicamente vincolante, ma che riflette la volontà politica delle due parti di rafforzare la reciproca cooperazione concreta in vari campi”.
Parole, pronunciate nel corso di un’intervista rilasciato al quotidiano economico Il Sole 24 Ore, che riflettono l’attesa di Pechino per la decisione di Roma sul rinnovo dell’intesa firmato nel marzo 2019 dal governo gialloverde presieduto da Giuseppe Conte. Per decidere c’è tempo fino a fine anno. Infatti, l’intesa prevede un’estensione automatica di altri cinque anni a meno che una delle due parti comunichi all’altra la volontà di compiere un passo indietro e lo faccia entro tre mesi dal rinnovo automatico.
Premettendo che “il mondo è davvero cambiato negli ultimi anni” rispondendo alla domanda sull’intesa, l’ambasciatore Jia non nega gli aspetti legati alla “volontà politica” dell’accordo ma sottolinea gli aspetti commerciali, inviando segnali a quella parte del governo e delle istituzioni italiane (a partire dalla Farnesina, che ha recentemente ripreso il Commercio estero) che lavorano per un rinnovo.
Il diplomatico snocciola numeri: “Dalla firma dell’accordo, il volume degli scambi ha toccato nel 2022 quasi 78 miliardi di dollari; dal 2019 al 2021, le esportazioni italiane verso la Cina sono cresciute del 42%, superando di gran lunga i livelli precedenti la firma; l’Italia è il Paese della Ue con il maggior numero di accordi sulle esportazioni di prodotti agricoli verso la Cina e ha partecipato attivamente alle fiere internazionali cinesi”.
L’aumento delle esportazioni era stato annunciato come uno degli benefici per l’Italia della firma del memorandum d’intesa con la Cina sulla Via della Seta nel marzo del 2019. Ma il rapporto commerciale non è mai decollato, come raccontato su Formiche.net. L’export italiano in Cina è cresciuto ma senza l’accelerazione promessa: 13 miliardi nel 2019, 12,8 nel 2020, 15,7 nel 2021, 16,4 lo scorso anno. Ma sono aumentate incredibilmente le importazioni di merce cinese in Italia: dai 31,7 miliardi del 2019 ai 57,5 del 2022 (in particolare elettronica, abbigliamento, macchinari). Così rende la Cina il secondo maggiore fornitore dell’Italia ma lascia l’Italia a livello di partner commerciale secondario per la Cina: 22° cliente e 24° fornitore.
Il diplomatico non parla di possibili “modifiche o aggiornamenti” al memorandum d’intesa citati dall’intervistatrice, la giornalista Rita Fatiguso. Per Pechino non c’è alternativa al rinnovo del documento così com’è. E neppure sempre piacere l’ipotesi, ventilata da alcuni in zona Farnesina come raccontato su Formiche.net, di lasciare cadere il memorandum d’intesa e di firmare un altro accordo commerciale che sia privo delle implicazioni politiche della Via della Seta ma che consenta all’Italia che dirsi impegnata a mantenere buone relazioni con la Cina e allo stesso tempo di evitare una dura reazione di Pechino.
La posta in palio, secondo, Pechino è commerciale (e riflette un cambio di comunicazione avviato da mesi e raccontato su queste pagine). Ma è soprattutto politica, visti i settori interessati (come “trasporti, logistica e infrastrutture” da cui Giancarlo Giorgetti, allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e oggi ministero dell’Economia, riuscì a lasciare fuori il 5G). Infatti, nel 2019 l’Italia è stata, e rimane tutt’oggi, l’unico Paese del G7 ad aver aderito alla Via della Seta, l’iniziativa espansionista lanciata dal leader cinese Xi Jinping nel 2013. All’epoca era stato evidente il nervosismo americano. “L’Italia è un’importante economia globale e una grande destinazione per gli investimenti. Non c’è bisogno che il governo italiano dia legittimità al progetto di vanità cinese per le infrastrutture”, aveva scritto Garret Marquis, assistente speciale dell’allora presidente Donald Trump e portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale, su Twitter. Anche per questo, a fine febbraio Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura, ha sottolineato in un’intervista al Messaggero l’importanza di muoversi nei rapporti con la Cina “di concerto con gli Stati europei e anche con gli Stati Uniti, con i Paesi Nato, perché un’alleanza è un’alleanza, non solo militare”.
Nell’attuale contesto, dunque, non è un caso che l’ambasciatore Jia utilizzi queste parole per parlare dell’Italia, citando le recenti dichiarazioni del presidente francese Emmanuel Macron sulla terza via europea tra Stati Uniti e Cina: “Molti leader lungimiranti in Europa hanno lanciato segnali chiari, in linea con gli interessi fondamentali dei propri Paesi e della parte europea. Credo che queste azioni inietteranno più stabilità ed energia positiva nel mondo. L’Italia è stata a lungo in prima linea nella cooperazione e negli scambi dei Paesi Ue con la Cina: è anche un attivo promotore dello sviluppo delle relazioni tra Cina e Ue. Ci aspettiamo che continui a svolgere un ruolo costruttivo”.