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Xi accerchia Taiwan appena Macron lascia la Cina

Portaerei lungo lo stretto, esercitazioni e show di forza. Pechino simula un accerchiamento dell’isola, che accusa vari sconfinamenti. Tra Usa e Cina, Taiwan è sempre più il punto caldo. In questi giorni il quadrante vede la non usuale presenza contemporanea della portaerei americana USS Nimitz e della cinese Shandong, entrambe accompagnate dai reciproci gruppi da battaglia

Uno dei vari successi bilaterali incassati dal presidente francese, Emmanuel Macron, durante la sua visita a Pechino — oltre alla nuova linea produttiva di Airbus a Tianjing e vari accordi commerciali per le aziende francesi — è stato un riconoscimento,  formale quanto effimero, del ruolo indo-pacifico della Francia da parte del leader cinese Xi Jinping.

Narrazioni e interessi 

Nella dichiarazione congiunta in cui si è parlato anche vagamente di Ucraina, Francia e Cina hanno annunciato di aver raggiunto un accordo per allargate la cooperazione militare, con il Teatro meridionale dell’Esercito Popolare di Liberazione cinese (responsabile principalmente del Mar Cinese Meridionale) che “approfondirà il dialogo” con il comando Asia-Pacifico delle forze francesi.

Dunque chissà se tra queste rinnovate comunicazioni la Difesa francese ha ricevuto comunciazioni in anticipo sull’inizio delle esercitazioni con cui il Teatro meridionale cinese ha dato ordine di simulare l’accerchiamento di Taiwan con il fine di lanciare “un severo avvertimento contro le collusioni e le provocazioni tra le forze separatiste per l’indipendenza e quelle esterne”. Ossia, nella narrazione dell’amicizia sino-francese ruotata attorno anche al tentativo di cercare punti in comune per portare di nuovo la pace in Ucraina, che spazio trova questa simulazione di guerra contro Taiwan?

Conquistare l’Isola

L’interesse cinese, Macron o meno, resta fisso: conquistare Taiwan è un elemento esistenziale nella strategia di Xi. Il Partito/Stato la vede come una provincia ribelle, anche se la Repubblica popolare non l’ha mai amministrata. L’aspetto esistenziale è legato al nome stesso, Repubblica di Cina: ossia per Pechino è inammissibile l’esistenza di due Cine. Gli attacchi di precisione contro obiettivi chiave a Taiwan e nelle acque circostanti simulati durante il secondo giorno delle esercitazioni militari iniziate non appena il presidente francese ha lasciato la Cina, venerdì, ci ricordano come l’annessione non sia una pratica dalla quale la strategia cinese esclude l’uso della forza. Anzi.

Le esercitazioni sono una risposta alla visita del presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, negli Stati Uniti la scorsa settimana, quando ha incontrato lo Speaker della Camera Kevin McCarthy e partecipato ad alcuni incontri che hanno rafforzato lo standing internazionale della presidente e di chi ne erediterà il percorso politico — dove l’autonomia da Pechino è un caposaldo. Le mosse militari seguono quelle politico-amministrative, con le sanzioni contro la Reagan Library e l’Hudson Institute incolpati di aver “fornito una piattaforma alle attività separatiste di Taiwan” ospitando Tsai.

Mantenere il controllo 

Mentre i militari cinesi simulavano un accerchiamento dell’isola, gli Stati Uniti hanno esortato la Cina a mostrare moderazione. Taiwan ha dichiarato che sabato almeno 71 jet cinesi hanno sorvolato l’isola. Altri 45 aerei da guerra hanno attraversato la linea mediana dello Stretto — la linea di demarcazione non ufficiale tra il territorio taiwanese e quello cinese — o hanno volato nella parte sud-occidentale della zona di identificazione della difesa aerea di Taiwan. Sono state avvistate anche nove navi cinesi. L’operazione, soprannominata da Pechino “Joint Sword”, continuerà fino a lunedì. Uno show of force simile a quello dello scorso anno, dopo la visita di Nancy Pelosi ad agosto.

Sabato i funzionari della difesa di Taipei hanno accusato Pechino di aver usato la visita della presidente Tsai negli Stati Uniti come “scusa per condurre esercitazioni militari, che hanno seriamente minato la pace, la stabilità e la sicurezza nella regione”. Non è una novità: da tempo Pechino sta modificando lo status quo attorno all’isola, e usa certe situazioni per scatti in avanti. Anche per questo il dipartimento di Stato statunitense hanno esortato “moderazione e nessun cambiamento dello status quo“. Il messaggio è destinato a restare inascoltato.

Deterrenza totale 

I media statali cinesi hanno dichiarato che le esercitazioni militari “organizzeranno simultaneamente pattugliamenti e avanzamenti intorno all’isola di Taiwan, dando forma a una postura di accerchiamento e deterrenza a tutto tondo”. Le forze armate guidate da Xi, attraverso la gestione del ministro nazionalista Li Shangfu, hanno schierato “artiglieria missilistica a lungo raggio, cacciatorpediniere navali, navi missilistiche, caccia dell’aeronautica, bombardieri, disturbatori e rifornitori”. L’obiettivo dello show muscolare è dimostrare una superiorità numerica, tattica e operativa a cui Washington cerca di supplire con l’assistenza militare a Taiwan e con missioni per marcare la presenza nella regione indo-pacifica — missioni come quelle a cui parteciperanno in futuro anche unità italiane, nel segno di ricerca di stabilità e mantenimento della sicurezza marittima.

Il presidente statunitense, Joe Biden, ha dichiarato in diverse occasioni che gli Stati Uniti interverrebbero se la Cina attaccasse l’isola, ma la messaggistica della Casa Bianca è stata poco chiara. La posizione altererebbe nettamente i principi della One China secondo cui Washington riconosce Pechino come unica Cina. Tuttavia evoluzioni sono in corso. Durante l’incontro di mercoledì in California, Tsai ha ringraziato il presidente della Camera americano per “l’incrollabile sostegno”, affermando che ha contribuito a “rassicurare il popolo di Taiwan che non siamo isolati e non siamo soli”.

Mari bollenti

In questi giorni il quadrante vede la non usuale presenza contemporanea della portaerei americana USS Nimitz e della cinese Shandong, entrambe accompagnate dai reciproci gruppi da battaglia. Non è normale che due dei principali assetti da guerra di Cina e Usa si trovino a qualche centinaio di miglia di distanza, entrambe posizionate attorno a Taiwan. Oltretutto, ad accrescere la sensibilità della situazione, c’è la quasi totale assenza di comunicazioni military-to-military tra le due potenze, di cui il Pentagono si è più volte lamentato.

A a Taipei i residenti sentiti dai vari media internazionali sono sembrati imperturbati dalle ultime manovre della Cina. “Penso che molti taiwanesi si siano ormai abituati, la sensazione è quella di un ‘ci risiamo!’”, ha detto un uomo alla BBC. “Sembra che a loro [alla Cina] piaccia farlo, girare intorno a Taiwan come se fosse loro. Ormai ci sono abituato. Se ci invadono non possiamo comunque scappare. Vedremo cosa ci riserverà il futuro e poi andremo avanti”, dice un altro. In generale, la maggior parte dei taiwanesi non gradisce l’attenzione internazionale attorno all’isola. Inoltre un recente sondaggio dell’Academia Sinica di Taipei solo un terzo della popolazione ritiene gli americani credibili nella loro volontà di difendere il Paese se invaso dalla Cina. Dato interessante mentre l’ex presidente taiwanese Ma Ying-jeou è appena rientrato da un viaggio storico in Cina: e la reazione di Pechino all’incontro Tsai-McCarthy si è fatta attendere forse non per rispetto nei confronti di Macron, ma per dare inizialmente l’impressione che la visita di Ma — figura leader del Kuomintang che adesso è il a più importante forza filo cinese a Taipei — fosse utile per i rapporti Cina-Taiwan.


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