L’amministrazione Biden cerca di dimostrare i propri buoni propositi nel tentativo di mantenere aperto un dialogo con la Cina, essenzialmente legato al mondo economico-commerciale. La segretaria Yellen spiega come, ma non è certo che Xi Jinping, lanciato verso iniziative globali, sia intenzionato ad accettare certe proposte
Invitata a una conferenza alla Johns Hopkins School of Advanced International Studies, la segretaria al Tesoro statunitense, Janet Yellen, ha tracciato alcuni punti di potenziale contatto – e marcato quelli di netta distanza – nelle relazioni tra Stati Uniti e Cina. La sintesi generale è: le tensioni tra le due superpotenze sono profonde, segnanti e non si esauriranno a breve, ma questo non deve ostacolare una relazione economica costruttiva.
Narrazioni e interessi
Dopo che un pallone-spia cinese ha fatto saltare la visita a Pechino del segretario di Stato Antony Blinken, il rapporto tra le due maggiori potenze economiche e militari – dunque geostrategiche – del mondo si è congelato. La visita di Blinken sarebbe servita come momento per verificare se esistevano condizioni su cui posare un’aliquota di fiducia reciproca, in parte ravvivata dopo l’incontro tra Joe Biden e Xi Jinping al G20 di Bali, in cui i due leader avevano sottolineato come spazi di dialogo potevano anche esserci. L’amministrazione Biden, che ha accusato la Cina di aver fatto saltare i buoni propositi con l’invio di quel sistema di spionaggio (che a quanto pare ha raccolto più dati di quanto dichiarato inizialmente), non ha del tutto mollato l’idea di cercare di sondare la possibilità di contatti.
L’interesse è quello di trovare aree di collaborazione limitata e pragmatica. A questo si abbina la volontà di apparire tra i due l’interlocutore il più disponibile. Ed è una comunicazione che contrasta la narrazione globale di Xi, che intende presentare al mondo gli Stati Uniti come interessati a perseguire una mentalità da Guerra Fredda – nei confronti della Cina e di chi interpreta il desiderio di costruire un modello alternativo per la governance globale. Washington sta cercando di assicurare a Pechino che gli sforzi per limitare l’accesso alle tecnologie avanzate sono limitati a quelle di importanza per la sicurezza nazionale, e non fanno parte di una strategia più ampia per impedire alla Cina di diventare un’economia più avanzata.
Competizione e non scontro?
“Queste azioni di sicurezza nazionale non sono pensate per ottenere un vantaggio economico competitivo o per soffocare la modernizzazione economica e tecnologica della Cina”, ha dichiarato la Yellen. “Gli Stati Uniti si faranno valere quando sono in gioco i nostri interessi vitali”, ma non cerchiamo di “disaccoppiare” la nostra economia da quella cinese, perché una “completa separazione delle nostre economie sarebbe disastrosa per entrambi i Paesi”, ha aggiunto. Ossia: la segretaria ha cercato di spiegare alla controparte cinese che non è in corso uno scontro per il dominio del mondo, ma che i due sistemi possono convivere all’interno della competizione (geo-economica, tecnologica e per certi aspetti politica).
La dichiarazione di Yellen arriva mentre l’amministrazione Biden cerca di collaborare con altre nazioni, innanzitutto quelle del G7, per aumentare le garanzie sulla tecnologia, tra cui la meccanica quantistica, l’intelligenza artificiale e i semiconduttori. È un’attività piuttosto nota e non nuova, che coinvolge anche i più stretti alleati statunitensi e si muove su un equilibrio complesso. Per esempio, stando ad alcune recenti rivelazioni di Bloomberg, ci sarebbe stata una visita a Taipei di funzionari del ministero delle Imprese italiano per valutare il rafforzamento della cooperazione sui semiconduttori. In cambio, Roma “potrebbe essere disposta” a non rinnovare il memorandum sulla Via della Seta con Pechino.
Partite incrociate
È evidente che ci siano aree intoccabili nelle relazioni tra Stati Uniti e Cina, in cui non c’è speranza che le due nazioni si avvicinino, in particolare per quanto riguarda il sostegno cinese de facto alla Russia (almeno per ora) e soprattutto per ciò che concerne la visione del Partito/Stato su Taiwan – considerata una provincia ribelle da isolare dal mondo e poi riannettere da Pechino e che Washington e altri alleati (tra cui l’Italia, come racconta l’apertura di un nuovo ufficio di rappresentanza a Milano) stanno contribuendo a rendere invece più presente all’interno della Comunità internazionale.
Il discorso della Yellen mira a ritagliare aree politicamente meno fragili e non modellate da dinamiche a somma zero. E si inserisce in una fase diplomatica più ampia e forse a differenti interpretazioni e consapevolezze a riguardo all’interno dell’establishment statunitense. Qualche giorno fa, funzionari del dipartimento del Commercio erano a Pechino per provare a intavolare una forma di dialogo specifico, per esempio: un sistema diplomatico-commerciale che potrebbe partire con una visita in Cina della segretaria Gina Raimondo.
Aree di cooperazione
Secondo un’analisi informata di Axios Macro, quello che si sta cercando di fare è ricreare alcuni dei canali di comunicazione che esistevano nell’ambito del “Dialogo economico strategico” guidato dal segretario al Tesoro Hank Paulson tra il 2006 e il 2008. Questo ha permesso ai politici di ritagliare aree per una diplomazia costruttiva, lontano dai temi caldi della sicurezza nazionale. “Come base, dobbiamo continuare a sviluppare linee di comunicazione costanti tra i nostri Paesi per la cooperazione macroeconomica e finanziaria”, ha detto Yellen. “Una strategia statunitense che riconosca il diritto della Cina a modernizzarsi e riconosca che ci sono costi economici nel perseguire obiettivi di sicurezza nazionale degni di nota è un punto di partenza sostenibile basato sulla realtà”, ha commentato Adam Posen, economista statunitense e presidente del Peterson Institute for International Economics (uno dei centri di pensiero in cui il confronto Cina-Usa è affrontato con visioni più “dovish”).
Tuttavia, non è detto che Pechino sia interessata a certe aperture. In generale, le relazioni tra i due Paesi sono molto più tese rispetto ai tempi di Paulson. Il leader cinese, Xi Jinping, ha consolidato il suo potere interno pochi mesi fa ottenendo un terzo, storico mandato, e ora sembra interessato a lanciare la presenza globale cinese a detrimento delle attività statunitensi (e più in generale occidentali) – per altro viste come un fattore di ostruzione alla crescita cinese. Per esempio, come conciliare queste potenziali linee di comunicazione con l’analisi del Pentagono secondo cui la Cina triplicherà il suo arsenale nucleare entro il 2035?