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Perché l’abuso d’ufficio andrebbe depenalizzato. La versione dell’avv. Landi

In maggioranza ci sono due sensibilità: chi vorrebbe abolire il reato di abuso d’ufficio e chi invece è per una revisione. Numericamente i procedimenti che arrivano a processo (e a sentenza) sono pochissimi, ma spesso creano un danno d’immagine agli amministratori. Forse, la via più efficace è quella della depenalizzazione. Lo sostiene l’avvocato Manfredi Landi di Chiavenna

Il vicepremier Matteo Salvini ha annunciato che la revisione del reato di abuso d’ufficio arriverà al tavolo del Consiglio dei Ministri entro questo mese. La discussione, tuttavia, è tutt’altro che conclusa. Il dibattito che divide le opinioni all’interno della maggioranza riguarda cosa farne di questa fattispecie di reato: eliminarlo definitivamente o apportare una revisione. Lega e Fratelli d’Italia sarebbero per la linea “morbida”, mentre Forza Italia preme per la soppressione. Forse la terzia via, quella di prevedere una “depenalizzazione ed eventualmente l’applicazione di una sanzione amministrativa”, come suggerisce l’avvocato Manfredi Landi di Chiavenna (legale dello studio Daria Pesce) a Formiche.net potrebbe essere un buon punto di caduta.

Avvocato, partiamo dalla natura del reato e dalla volontà di “metterci mano” in qualche misura. Che ne pensa lei?

Sicuramente la necessità di un ridimensionamento del reato è necessaria. Non lo dico io, sono i numeri a confermarlo. A fronte di 5.481 procedimenti (avviati nel 2021 per questa fattispecie di reato), ben 4.613 sono stati archiviati. Il che significa che c’è più di qualcosa che non funziona.

È stato scritto male ab origine?

Si tratta di un reato molto vago e ampio nell’applicazione. Tant’è che la Cassazione, attraverso una sentenza recente, ha stabilito che il reato di abuso d’ufficio possa configurarsi – per i pubblici ufficiali – solo nell’ambito dell’esercizio delle funzioni che non rientrano nell’alea della discrezionalità.

Perché secondo lei il reato andrebbe depenalizzato?

Perché si conferisce più libertà di movimento agli amministratori, pur mantenendo una misura afflittiva – sotto il profilo pecuniario – che fungerebbe da deterrente verso certi atteggiamenti. Non solo. Coglierebbe uno dei principali obiettivi che ha fissato la riforma Cartabia: la depenalizzazione di molte fattispecie di reato. Non possiamo più permetterci di intasare le procure per indagini su reati di cui è difficilissimo accertare la sussistenza.

Gli amministratori locali, per bocca di Anci, si dicono favorevoli all’abolizione dell’abuso d’ufficio. Come impatta su di loro questa fattispecie?

Il timore degli amministratori locali è più che comprensibile e va ascoltato. Tant’è che si è anche coniata, negli anni, l’espressione “paura della firma” per i sindaci. Fermo restando peraltro che la legge Severino interviene sugli amministratori locali, condannati anche solo in primo grado, sospendendoli per 18 mesi.

C’è anche un danno reputazionale che i sindaci subiscono a causa di procedimenti che spesso finiscono in archiviazione. 

Sì, ma spesso la verità emerge dopo diverso tempo purtroppo. Infatti, parlando di questo tema, non si può non considerare anche l’impatto che hanno le tempistiche del processo penale. Oltre al fatto che l’abuso d’ufficio è stato spesso utilizzato come strumento giudiziario per “sconfiggere” gli avversari politici. L’abuso d’ufficio è giusto che esista, ma non così come è concepito attualmente. Deve finire il tempo il cui gli amministratori, per lo più per fatti che non hanno commesso, subiscano anni di gogna pubblica. A tutte queste considerazioni ne va aggiunta un’altra, che è in qualche modo di respiro europeo.

A cosa si riferisce?

Pensare a una depenalizzazione del reato di abuso d’ufficio sarebbe un modo per “allargare” la manica agli amministratori locali nell’ambito della gestione del Pnrr. Gestire una mole di risorse, talvolta cospicua, senza la paura di questa spada di Damocle, penso possa essere positivo per l’intero Paese.

 

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