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La tragedia afghana non è finita. L’analisi di Civiltà Cattolica

Il nuovo numero de La Civiltà Cattolica dedica all’Afghanistan, e alle donne afghane in particolare, un articolo di inquadramento che partendo dal ritiro americano arriva ai rischi per il domani. La riflessione di Riccardo Cristiano sull’analisi di padre Giovanni Sale, firma storica della rivista dei gesuiti diretta da Antonio Spadaro

La questione afghana è scomparsa dal nostro orizzonte informativo, per la sua evidente scomodità, ma i fantasmi dell’Isis e di al-Qaida potrebbero tornare a volteggiare su Kabul. Almeno questo pericolo dovrebbe indurci a prestare maggiore attenzione.

Dunque è necessario ricostruire quanto è accaduto da quando Donald Trump decise, seguendo la linea già intrapresa in Iraq da Obama, di ritirarsi anche dall’Afghanistan: la raggiunta autonomia petrolifera consentiva agli Stati Uniti di scrollarsi di dosso guerre troppo costose e dagli esiti politici non soddisfacenti (anche per errori dei vertici militari).

Il nuovo numero de La Civiltà Cattolica dedica all’Afghanistan, e alle donne afghane in particolare, un articolo di inquadramento che partendo dal ritiro americano arriva ai rischi per il domani. Lo firma padre Giovanni Sale, firma storica e di certa qualità della rivista dei gesuiti diretta da padre Antonio Spadaro.

Con la consueta accuratezza l’articolo ci riporta ai negoziati di Doha, la capitale di quel Qatar che ha fatto da ponte diplomatico tra gli Usa e i talebani. I negoziati segnarono una novità: “Così facendo, gli Stati Uniti, per porre fine al conflitto, hanno infranto un antico tabù: quello di non trattare mai con i movimenti islamisti. Instaurando un dialogo diretto con i talebani, hanno delegittimato completamente il governo di Kabul, che fino a quel momento avevano invece sostenuto. Così i talebani hanno  ottenuto molto senza dare nulla in cambio, soprattutto sul fronte dei diritti civili. L’accordo prevedeva il ritiro entro il 31 maggio, poi rinviato al 31 agosto. La rapida avanzata dei talebani verso Kabul e il precipitare degli eventi hanno anticipato di circa due settimane il ritiro, che, per il modo precipitoso con cui è stato condotto, è parso più una fuga che una ritirata ordinata e previamente concordata. Il perché della disfatta, in pochi mesi, dell’esercito afghano e delle strutture amministrative dello Stato è facile da intuire. Gli afghani, già all’inizio dei negoziati, si erano resi conto che presto non avrebbero più potuto contare sulla potenza aerea statunitense e su altri fondamentali tipi di supporti sul campo. Così hanno iniziato a cedere alle proposte dei talebani. Molti soldati hanno cambiato casacca o consegnato le loro armi ai nuovi vincitori”.

Padre Sale dunque annota quel che più conta, e cioè che in quel negoziato poco fu chiesto e ottenuto dagli Usa, e gli studenti coranici così avrebbero riavuto un Paese che tra tanti problemi era però molto cambiato da quando erano stati cacciati, a cominciare proprio dal ruolo ottenuto dalle donne: “Molte di esse hanno avuto la possibilità di studiare e in migliaia si sono laureate. Prima che i talebani prendessero il potere, circa un anno e mezzo fa, quasi il 30% dei dipendenti pubblici era costituito da donne”. Corruzione diffusissima e sistemi di gestione a dir poco non trasparenti non possono occultare questa evidenza.

I talebani ovviamente promisero rispetto, ma “nel marzo 2022, un provvedimento del governo vietava alle ragazze di frequentare le scuole secondarie (riservate solo ai maschi); il provvedimento colpiva più di un milione di giovani donne in età scolare. In più, venivano ripristinate alcune regole di comportamento che erano venute meno negli anni precedenti, come quella dell’accompagnatore maschio: veniva fatto divieto alle donne di percorrere lunghe distanze, o di recarsi in un ufficio pubblico, senza essere accompagnate da un familiare, un fratello o un marito. In tal modo, anni di emancipazione e di progresso sociale ed economico sono andati in fumo. Durante il cosiddetto «ventennio democratico», migliaia di donne avevano lavorato come dottoresse, avvocatesse o poliziotte. Oggi, con le nuove regole, questo non è più possibile: molte donne hanno dovuto abbandonare il posto di lavoro”. Questo il fatto, che però letto dall’analista attento va capito: “ Il provvedimento sulla scuola, in un primo momento, era stato presentato come provvisorio; di fatto esso è ancora in vigore. Ciò sta a significare che all’interno del governo non c’è unità di vedute su questa materia, come su altre: i cosiddetti «pragmatici» sono per la liberalizzazione, mentre i «tradizionalisti», che pare siano la maggioranza, spingono per l’adozione del sistema sciaraitico-identitario sulle questioni di genere”.

I pragmatici sanno bene, come l’articolo sottolinea, che allontanare le donne dal mondo del lavoro costa “fino a un miliardo di dollari, ovvero il 5% del Pil nazionale”. E quindi? “La crisi economica e l’inflazione stanno distruggendo quel poco di economia interna ancora attiva. Gli afghani non possono ritirare i loro pochi risparmi dalle banche; chi lavora per lo Stato da mesi non riceve uno stipendio, i giovani sono disoccupati. La povertà è diventata endemica, capillare, e tocca, sebbene in modo ineguale, quasi tutte le fasce sociali. Molti osservatori parlano, in modo allarmistico, di una crisi umanitaria in atto nel Paese, che rischia di precipitare nel caos: crisi di cui si avvantaggerebbero le formazioni terroristiche presenti, mentre gli aiuti umanitari, dopo le ultime vicende riguardanti le Ong, sono stati sospesi”. Questo è il punto rilevante che ci conduce alla considerazione più importante, quella sul futuro.

Se il ritorno dei talebani ha comportato, almeno nei primi mesi, un’incredibile diminuzione della violenza, addirittura dell’87%, nelle zone rurali questo ha significato poter tornare a vivere, sebbene sotto la cappa plumbea dell’inflazione al galoppo. Ma altre violenze si sono pian piano diffuse, contro i giornalisti ad esempio, o ex membri delle forze armate, con sparizioni mirate. E presto è esploso il terrorismo dell’Isis.

“I talebani al potere hanno immediatamente ricostituito il ministero della promozione della Virtù e della prevenzione del Vizio, al fine di applicare la sharia, e ristabilito la polizia morale, la quale di solito attacca gli uomini che si tagliano la barba o che hanno assunto modi di vita ritenuti occidentali, e le donne che non osservano le regole della legge islamica in materia di abbigliamento o di relazioni sociali. […] Molte bambine, in applicazione della sharia, sono state promesse in matrimonio, o costrette a sposarsi, ancora giovani, per garantire un’entrata economica alla famiglia. Il 24 dicembre 2022, un provvedimento governativo ha fatto divieto alle donne afghane di lavorare nelle Ong sia nazionali sia internazionali, che, sebbene a fatica, operano nel Paese”. Così molte Ong potrebbero lasciare il Paese, visto che ora la segregazione femminile si aggrava ed è arrivata anche la proibizione di frequentare le università. Eppure solo poche mesi gli era stato consentito di sostenere l’esame di ammissione. Un altro segnale che lo scontro interno c’è e i pragmatici non condividono l’intransigenza dell’ala evidentemente maggioritaria.

Paese sull’orlo del collasso economico, con un PIL crollato al 50% di quel che era, l’Afghanistan fronteggia la resistenza del Nord, da sempre loro ostile. Per padre Sale questi gruppi hanno poche possibilità di successo, mentre sono l’Isis e al-Qaida a costituire una sfida preoccupante. Gli attentati sono numerosi. E quindi conclude: “La questione di fondo è se dobbiamo rispondere agli editti dei talebani con la sospensione dei programmi di aiuti – anche quelli decisi dalla Nato –, e capire chi si avvantaggerebbe di tale decisione. Non certamente la popolazione civile, e in particolare le donne che partoriscono senza assistenza medica o le ragazze in età scolare. In questo momento, sarebbe opportuno che le organizzazioni umanitarie promuovessero un piano comune a più Paesi per sostenere dal basso la popolazione, scavalcando alcune mediazioni governative, o attivando quelle giuste. Il che non è certamente facile, ma, a causa dell’emergenza, potrebbe essere possibile. Inoltre, sarebbe opportuno non cancellare completamente l’esistenza di una rete diplomatica minima (a qualsiasi livello), al fine di non far piombare nel buio l’intero Paese, come avvenne al tempo del mullah Omar. E questo sarebbe un disastro per tutti, e l’Afghanistan potrebbe precipitare, a motivo della crisi economica e sociale, in una guerra civile, dove, alla fine, i terroristi jihadisti – sia quelli dell’Isis o quelli di al Qaeda – avrebbero la meglio sui «nuovi talebani» al potere”.

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