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Moro, nuove verità sulla morte e centralità della politica estera. Parlano Calabrò e Ceccanti

Il lavoro della commissione parlamentare d’inchiesta Moro 2, i nuovi dettagli sul luogo delitto dell’ex presidente della Dc e le implicazioni a vari livelli nel periodo della Guerra Fredda. Accademici e giornalisti a confronto, in un’iniziativa organizzata dagli studenti de La Sapienza per ricordare i 45 anni dall’uccisione di Aldo Moro

“Quello di Aldo Modo è un delitto della Guerra Fredda. Attraverso l’uccisione del presidente della Dc si doveva tornare alla divisione del mondo in due blocchi contrapposti”. Le parole della giornalista Maria Antonietta Calabrò pesano come macigni sulla coscienza collettiva di un Paese che non ha ancora conosciuto la verità su una delle pagine più controverse della storia recente.

Nel 45esimo anniversario dalla barbarie compiuta ai danni di Moro (e degli agenti di scorta) per mano delle Br, l’iniziativa per ricordarlo parte dai ragazzi dell’Università La Sapienza che, proprio oggi pomeriggio, hanno organizzato un convegno con un parterre d’eccezione. Oltre alla giornalista Calbrò, sono previsti gli interventi del costituzionalista Stefano Ceccanti, dell’ex parlamentare Claudio Petruccioli e del docente Carlo Curti Gialdino. I saluti iniziali sono affidati alla magnifica rettrice, Antonella Polimeni e a Maria Cristina Marchetti, direttrice del corso di Scienze Politiche. L’introduzione è a cura di Giuseppe Cela (Fuci Sapienza), mentre a moderare è Alessandro Pancalli (Sapienza in Movimento).

Il titolo dell’incontro è piuttosto eloquente. “In ricordo di Aldo Modo. Tra passato e Futuro”. Tanta dell’attualità dell’ex presidente del Consiglio la si ritrova nei discorsi che pronunciò – nei vari incarichi che ricoprì – proprio in Parlamento. Ed è proprio l’ex deputato dem Stefano Ceccanti che è andato a scavare negli archivi, leggendo con la chiave dell’attualità le parole di Moro. “Dai discorsi parlamentari di Moro emerge innanzitutto una grande visione sulla politica estera”, spiega il costituzionalista a Formiche.net. “Il presidente della Dc, ad esempio, considerava due elementi complementari e inscindibili la Nato e l’Unione europea. E molti degli sforzi che Moro profuse furono proprio indirizzati a far convergere altre forze politiche con matrici ideologiche molto differenti tra loro su posizioni filo-altantiche”.

Lo spettro dell’antiamericanismo però, ora come allora, continua ad aleggiare e carsicamente si ripresenta. “Si è cementato, tanto a destra quanto a sinistra un sentimento ostile alla Nato – prosegue Ceccanti – che per certi versi perdura anche oggi. L’Msi, nel ’49, non votò a favore della Nato ad esempio. Ma l’anti-americanismo ha anche una matrice di tipo cattolico (ancora una volta di destra – con il cardinale Ottaviani – e di sinistra – con Dossetti). Per Moro, invece, la Nato era un punto di riferimento irrinunciabile”. Negli anni della Guerra Fredda, la scelta del presidente della Dc, e il “vero collante del partito”, fu “quella di stare dalla parte dell’Occidente”.

L’ex premier credeva nell’alternanza come valore democratico, reputava centrale il ruolo della politica estera anche per determinare l’indirizzo di quella interna. Credeva a tal punto nelle sue idee che il 9 maggio del 1978,  “data non casuale perché l’Urss celebrava la vittoria della seconda Guerra Mondiale”, venne barbaramente assassinato. Il corpo fu trovato in via Caetani.

Ma sulla “narrazione” dell’omicidio di Aldo Moro, sostiene Calabrò raggiunta da Formiche.net, “ci sono troppe incongruenze”. “Dalle informazioni che abbiamo acquisito anche grazie al prezioso lavoro della commissione parlamentare d’inchiesta Moro 2 – scandisce la giornalista – possiamo affermare che la versione sulla morte fornita dal memoriale Morucci sia assolutamente contraddittoria. Quella del presidente della Dc fu una morte figlia della Guerra Fredda. Anzi, la più grande operazione della Guerra Fredda prima della caduta del Muro di Berlino. Un modo per ristabilire la divisione del mondo in due blocchi contrapposti”.

E, anche sul luogo in cui l’ex presidente del Consiglio fu assassinato, Calabrò ha le idee chiare: “Si trattava della cantina della residenza dell’ambasciatore del Cile presso la Santa Sede. A due passi da via Caetani”. Questa operazione per la verità, riconosce la giornalista, la si deve principalmente allo “sforzo profuso dal governo Renzi, e proseguito anche con i premier che l’hanno succeduto, che hanno desecretato atti fondamentali per la ricostruzione di come avvennero i fatti”.

Ma soffermiamoci sul Cile. “È emerso abbastanza di recente dagli archivi della Stasi (il servizio segreto dell’ex Ddr) – così Calabrò – che il Cile (e non il Sudafrica) era la nazione in cui la Stasi aveva la maggior concentrazione nel mondo. Così come sappiamo solo oggi che Salvatore Allende era strettamente supportato, ma anche monitorato dalla Stasi. E che la rete di Markus Wolf, che controllava il terrorismo palestinese e la Rote Armee Frackion, alleata delle Br, rimase nel Paese sudamericano anche dopo il golpe di Pinochet”.

Non solo. Erich Honecker, capo della Ddr dal 1971, in fuga da Berlino Est dopo la caduta del Muro, “trovò rifugio proprio in Cile – chiude la giornalista – dove lo aveva preceduto la moglie e dove morì nel 1994, con Pinochet ancora al potere”. Insomma dalle informazioni acquisite ed esposte da Calabrò, emerge in maniera chiara lo scenario internazionale in cui si inserisce il delitto. Una dimensione sempre smentita nella narrazione dei brigatisti.

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