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Dall’Antimafia alla Rai, quando il continuo allarme è inutile e dannoso. Il corsivo di Cangini

È piuttosto evidente che il continuo allarme democratico faccia torto alla realtà tanto quanto fa un favore al governo. Ma ciò è evidente per chi vanta un’impostazione liberale e uno spirito non militante. Il lettore fedele si chiede, invece, cosa stia accadendo a Repubblica… Il commento di Andrea Cangini

“Strappo sull’Anfimafia”, “Cafiero De Rao. Impediremo alla Colosimo di bloccare le inchieste sulle stragi”, “Paolo Bolognesi. Colosimo? Tanto valeva Messina Denaro a capo della commissione”, “L’altolà di Melillo. La riforma Nordio dell’abuso d’ufficio è un vulnus nell’Ue”, “L’addio di Lucia al fortino. Non rimango da prigioniero politico”, “Pnrr, attacco ai giudici”, “Un Polo per produrre serie, film e docu Rai. Così il revisionismo occupa la tv di Stato”, “Stigliz: in Italia rischiate una lenta soppressione degli strumenti democratici”. Sono solo alcuni dei sobri titoli degli articoli che nei giorni scorsi il quotidiano la Repubblica ha dedicato all’attività della maggioranza e del governo. Poi, ieri, due colpi di scena.

Rispondendo a una lettera dei parlamentari del Pd Silvio Lai, Andrea Orlando, Debora Serracchiani e Walter Verini che, rifacendosi alle molteplici interviste colme di indignazione “di tanti familiari e associazioni di vittime di stragi mafiose e terroristiche che hanno denunciato contatti e frequentazioni di Chiara Colosimo con terroristi neri”, a pagina 21 di Repubblica Francesco Merlo risponde così: “Penso che la visita in carcere a Ciavardini di Chiara Colosimo, dalla quale mi sento tanto distante quanto a voi mi sento vicino, sia, fino a prova contraria, innocente come la vostra a Cospito”. Il lettore, al pari, si immagina, dei parlamentari del Pd, resta di sale. Non per l’argomentazione, in effetti ineccepibile, ma per il contesto. E ne ricava la straniante sensazione che la firma più autorevole e rappresentativa di Repubblica stia in effetti contestando la linea politica del proprio giornale.

Gira allora due pagine per riprendersi dallo choc e s’imbatte in un commento di Tito Boeri e Roberto Perotti intitolato “Lezioni di tolleranza per l’opposizione”. Ovvero, la lettura critica della contestazione subita dal ministro Eugenia Roccella al Salone del libro di Torino. Spiccano due passaggi: “A parti invertite, lasciamo immaginare il grido di indignazione che si sarebbe levato se degli attivisti di destra avessero impedito di parlare a ZeroCalcare o Michele Serra o Roberto Saviano, tre persone di sinistra”; “Trasformare i vari Roccella, La Russa e Sangiuliano in vittime di una prevaricazione violenta, oltre ad essere profondamente antidemocratico, serve solo a rafforzare il consenso di questo governo, e a mantenerlo al potere per anni e anni a venire”. Segue un consiglio: “La cosa peggiore che l’opposizione può fare in questo momento è rispondere alla prevaricazione con la stessa arma. Farebbe solo il gioco dei prevaricatori”.

Prevaricazioni a parte, è piuttosto evidente che, sia pure a volte incoraggiato dalla rozzezza di alcuni ministri e parlamentari del centrodestra, questo continuo allarme democratico, conseguenza naturale di un fascismo incipiente, faccia torto alla realtà tanto quanto fa un favore al governo. Ma ciò è evidente per chi vanta un’impostazione liberale e uno spirito non militante. Il lettore fedele si chiede, invece, cosa stia accadendo a Repubblica. Quello laico ricorda un passaggio del bel saggio che Sabino Cassese ha dedicato agli intellettuali, e che vale anche per i politici e per i giornalisti. Eccolo: «Gli intellettuali italiani hanno sempre scelto un atteggiamento sdegnoso verso la realtà (rifiutandola) optando per la critica distruttiva, la mera critica di ingiustizie, la minaccia di catastrofi, l’atteggiamento piagnone». Un atteggiamento inutile per la propria parte politica e dannoso per il Paese.



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